22 Novembre 2024
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In una situazione così nuova e difficile per la maggioranza in via di formazione diviene più che mai cruciale il ruolo costituzionale del presidente della Repubblica

Nei prossimi giorni quasi sicuramente vedrà la luce un governo presieduto da Giorgia Meloni. Un governo che pur rispondendo in pieno alle indicazioni espresse il 25 settembre dal corpo elettorale nascerà tuttavia con una maggioranza già attraversata da una crisi potenzialmente devastante a causa del seguito di dichiarazioni di Silvio Berlusconi (sul Corriere di ieri Antonio Polito ha scritto ironicamente di una crisi di governo scoppiata già prima che si formi il governo stesso).
Dichiarazioni sorprendenti non solo per il loro tono in vario modo sgarbato nei confronti della premier in pectore, non solo per l’allineamento completo sulle posizioni russe espresse dal Cavaliere con contorno di caldi apprezzamenti per Putin, ma ancor di più per gli entusiastici applausi con cui in questo caso tali dichiarazioni sono state accolte dall’assemblea dei parlamentari di Forza Italia. Il fatto che una delle tre componenti della maggioranza governativa veda i propri vertici composti da sostenitori dell’aggressione all’Ucraina da parte della Russia e di ammiratori del despota moscovita non è certo un buon viatico per il governo che Giorgia Meloni si appresta a varare.
Che poi gli stessi al pari di Berlusconi accampino come scusante che però nelle Camere essi si sono sempre schierati a sostegno dell’Ucraina peggiora ancor più le cose, direi, dal momento che in questo modo l’intera Forza Italia ne vien fuori come un organismo su cui grava un’ombra pesante dì inaffidabilità e di doppiezza.
In una situazione così nuova e difficile per la maggioranza in via di formazione diviene più che mai cruciale il ruolo costituzionale del presidente della Repubblica. In molte circostanze più o meno analoghe del passato la sua azione ha avuto un’importanza centrale: ad esempio, sia nel designare come presidente del Consiglio una personalità fino ad allora totalmente estranea alla vita pubblica come Giuseppe Conte ovvero al di fuori dei partiti come Mario Draghi, sia nell’ impedire che a ricoprire funzioni di ministro venissero designati candidati a vario titolo non idonei. Oggi però la gravità e la singolarità della situazione richiedono un esercizio in un certo senso più penetrante delle pur numerose competenze come quelle a cui mi sono riferito sopra che la Costituzione affida al capo dello Stato. Si tratta di competenze minutamente elencate che unitamente alla prassi consolidatasi a partire dal 1948 fanno del presidente della Repubblica una sorta di vero e proprio custode e disciplinatore della vita politica del Paese, garante del suo sensato svolgimento. Un ruolo difficilmente circoscrivibile con precisione e perciò variamente interpretato a seconda delle diverse sensibilità di coloro che hanno ricoperto la carica, ma che ha sempre accompagnato la vita di tutti i nostri governi sorreggendoli fin dove possibile nei momenti di difficoltà
Non c’è dubbio — del resto molti indizi già sembrano indicarlo — che avverrà così anche nei confronti del futuro governo dell’onorevole Meloni. Ma il punto è che per questo governo i momenti di difficoltà minacciano di essere più immediati, più numerosi, più gravi. Per molte ragioni ma alla fine per una soprattutto. Perché per la prima volta — a differenza di quanto è sempre accaduto con Berlusconi — la destra ha una guida inattaccabile sul piano personale e con un partito vero e compatto alle spalle, una guida che già si è mostrata politicamente lucida, aggressiva, spregiudicata quanto è necessario, e a cui non interessa, come lei stessa ha detto, il governo per il governo. La quale minaccia così di accrescere ulteriormente il suo consenso nel Paese(già oggi i sondaggi le danno ragione) quindi non solo di diventare egemone nei confronti degli altri due partner di maggioranza, Lega e Forza Italia, ma in una prospettiva non lontana anche di assorbirne gran parte dell’elettorato. Ciò che vorrebbe dire, come si capisce, l’apertura di una fase interamente nuova della nostra vita politica, nella quale anche Fratelli d’Italia, cioè la destra, necessariamente, non potrebbe che conoscere un importante processo di cambiamento.
Nelle condizioni che si presentano oggi è assai probabile, insomma, che il governo nascituro e la sua leadership, quanto più dovessero avere qualche successo, vadano incontro da parte dei partiti minori della stessa maggioranza a tutta una serie di contrattempi, di altolà, di obiezioni, di parole inopportune, di piccoli o grandi sabotaggi. Per difendersi dai quali Giorgia Meloni avrà bisogno assoluto dell’aiuto del presidente della Repubblica. Un aiuto possibile in molti modi, ma mi azzardo ad evocarne uno in particolare: la ragionevole certezza che nel caso in cui qualcuno degli inciampi di cui sopra da parte della sua stessa maggioranza provocassero una crisi di governo, si andrebbe rapidamente — stante l’attuale impossibilità di qualunque diversa maggioranza se non all’insegna del più evidente trasformismo — allo scioglimento delle Camere e a nuove elezioni.
Il capo dello Stato sa bene quello che serve al Paese e non ha certo bisogno dei consigli di chicchessia. Ma apparirebbe di certo un fatto carico di significati se proprio Sergio Mattarella — l’ultimo erede di quella che fu la prima Repubblica e colui che con la legge elettorale che da lui prese il nome nel lontano ’93 mostrò di rendersi conto meglio di tanti altri della strada che il nuovo che si annunciava avrebbe dovuto percorrere per non smentire se stesso — proprio lui con il suo alto consiglio aiutasse oggi l’Italia e il sistema politico a compiere una svolta capace di porre fine alla stagnazione in cui ci dibattiamo da troppo tempo.

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