19 Settembre 2024

Fonte: Huffington Post

Oltre quattro ore di vertice a palazzo Chigi non avvicinano le posizioni. Scontro tra Di Maio e Gualtieri, i renziani disertano. Si votano le risoluzioni l’11 in Parlamento. Ma prima il titolare del Tesoro dovrà trattare con Bruxelles

A palazzo Chigi sono passati pochi minuti dall’inizio del vertice di maggioranza sul Mes quando Dario Franceschini esorta i partecipanti a lavorare per arrivare a una nota comune. Mancano poche ore all’intervento di Giuseppe Conte in Parlamento. Matteo Salvini è lì, pronto a replicare la sfida del 20 agosto, quella che segnò la Caporetto del Conte I. Intorno al tavolo ci sono il premier, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri, una folta rappresentanza di ministri Pd e 5 stelle. C’è anche Leu, non ci sono i renziani. Dopo oltre quattro ore e mezza, il vertice è capace solo di partorire una nota che di fatto lega le mani a tutti. È tutto tranne che risolutiva. Il governo è ancora spaccato. Due immagini su tutte. La prima: lo scontro tra Di Maio e Gualtieri che va avanti per mezzo vertice. La seconda: Conte nel travagliato compito di provare a tirare i grillini dalla sua.
Dice la nota, veicolata da fonti della presidenza del Consiglio, che il 4 dicembre il ministro dell’Economia si presenterà all’Eurogruppo per negoziare e lo farà “seguendo una logica di pacchetto”. La formula lega l’intervento sul Fondo salva-Stati alla definizione della road map sull’Unione bancaria ed è la soluzione che Gualtieri, insieme a Conte, ha messo sul tavolo per provare a superare le resistenze dei grillini. In sintesi: sì al Mes in cambio però di porre un freno alle ambizioni dei tedeschi, che vogliono introdurre criteri dolorosi per l’Italia, come la valutazione del rischio dei titoli di Stato. Ma la stessa nota dice che “ogni decisione diventerà in ogni caso definitiva” solo dopo che il Parlamento si sarà pronunciato con le risoluzioni che saranno approvate l′11 dicembre, il giorno prima del Consiglio europeo chiamato a dare il via libera alle decisioni assunte dall’Eurogruppo.
Il perché questa nota è un pannicello caldo che serve a Pd e 5 stelle per blindare le proprie posizioni, ma non ad arrivare a una posizione unitaria di governo, lo spiegano bene i commenti che i big dei due partiti si affrettano a fare appena il vertice si conclude. E così Franceschini può affermare che non c’è “nessuna richiesta di rinvio all’Ue ma un mandato che rafforza Gualtieri a trattare meglio l’accordo” all’Eurogruppo. Un modo per spuntare le armi delle richieste dei grillini, che a gran voce spingono per un rinvio della firma dell’Italia alla riforma del Mes. Ma allo stesso tempo fonti pentastellate possono sostenere che “il Parlamento è sovrano” e che non c’è alcuna luce verde “fino a quando il Parlamento ne discuterà”. Parole, queste, che fermano la volontà dei dem di non modificare il percorso già tracciato e cioè arrivare alla firma del nuovo Mes a febbraio.
Si diceva che la nota lega le mani a tutti e altro non è che il risultato obbligato di un vertice andato malissimo. Chi ha avuto modo di sondare gli umori dei partecipanti parla di una riunione tesa, dai toni accesissimi. La partenza, tra l’altro, non è delle migliori. Al tavolo di palazzo Chigi erano pronte le sedie anche per i rappresentanti di Italia Viva, ma i renziani non si sono presentati. Matteo Renzi, in tv, l’ha messa giù così: “Se la vedessero tra di loro. Di vertici ogni tre giorni gli italiani son stufi, non interessano a nessuno, non è che siamo a seguire una puntata di Beautiful o di una telenovela”.
Si parte comunque, con Gualtieri che illustra come si è arrivati a definire la posizione dell’esecutivo italiano sulla riforma del Mes, tra l’altro messa a punto quando al governo c’erano i 5 stellle insieme alla Lega. Ma Di Maio alza subito un muro e fa leva sui gruppi parlamentari. “Non li tengo”, dice agli alleati di governo, appellandosi alla necessità di rallentare il percorso che punta dritto alla firma delle nuove regole sul Fondo che serve ad aiutare gli Stati dell’eurozona in difficoltà. Gualtieri e Franceschini insistono per evitare il rinvio, definito “inaccettabile”.
La discussione si protrae a lungo. Le posizioni restano distanti. E qui che entra in campo Conte, sollecitato a intervenire dal Pd. Il premier prova a convincere Di Maio a convergere su una posizione di mediazione, ma il capo politico del Movimento insiste per dare un segnale ai suoi. Si fa strada l’ipotesi di legare il voto in Parlamento a una mozione dove esplicitare la richiesta di rinvio della firma del Mes, vincolandola proprio alla logica di pacchetto. Interpretata, però, con tempi diversi rispetto a quelli cari al Pd e al premier. Non la firma del Mes e un negoziato sull’Unione bancaria legata magari alla promessa di un intervento non doloroso nei confronti dell’Italia. I 5 stelle la vedono grosso modo così: la firma del Mes è vincolata all’intero pacchetto, cioè quando l’Unione bancaria avrà forma, con le protezioni del caso per l’Italia, allora anche la riforma del Fondo salva-Stati potrà essere sottoscritta. Non prima.
È quasi mezzanotte quando i partecipanti al vertice si infilano nelle macchine e lasciano palazzo Chigi. Cala una notte difficile sul governo. Le divisioni interne alla maggioranza precipitano in Parlamento. Proprio nell’arena scelta da Salvini.

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