19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Danilo Taino

L’Italia, al 42,4%, è decisamente nella fascia alta della tassazione, superata, oltre che dalla Francia, solamente da Danimarca (46%), Belgio (44,6%), Svezia (44%) e Finlandia (43,3%), sui 34 Paesi analizzati


Nei Paesi dell’Ocse — quelli con le economie più avanzate — il livello delle tasse era, nel 1965, in media pari al 24,9% del Prodotto interno lordo. Un quarto della ricchezza prodotta nell’anno andava in imposte sui consumi, sul reddito, sulle imprese, sui capital gain, per prestazioni sociali. Nel 2016, la media è salita al 34% e nel 2017 al 34,2%, secondo un’analisi pubblicata di recente dall’Ocse stessa. Oggi, insomma, più di un terzo finisce nelle casse degli Stati. Dietro la media, però, stanno differenze tra Paesi notevolissime. Riferito al 2017, lo Stato che in assoluto estrae una quota maggiore di ricchezza dall’attività generale è la Francia, al 46,2% del Pil. All’estremo opposto, il Messico, al 16,2%. Nella fascia intermedia, stanno tutte le altre grandi economie: gli Stati Uniti al 27,1%, il Regno Unito al 33,3%, il Giappone sotto al 31%, la Germania al 37,5%. L’Italia, al 42,4%, è decisamente nella fascia alta, superata, oltre che dalla Francia, solamente da Danimarca (46%), Belgio (44,6%), Svezia (44%) e Finlandia (43,3%), sui 34 Paesi analizzati. Nonostante il fatto che il livello complessivo della tassazione sia molto rilevante per la vita dei cittadini e per il funzionamento dell’economia, nel dibattito europeo spesso lo si trascura.
In parte ciò dipende dal tipo di discussione che i criteri di Maastricht e il Patto di Stabilità hanno stimolato: l’attenzione è molto indirizzata su debito e deficit e il come la loro riduzione si ottiene passa spesso in secondo piano. Quasi che il livello delle imposte fosse una variabile indipendente dell’economia. È invece interessante notare che l’aumento della tassazione media nell’Ocse è stato di 9,3 punti percentuali tra il 1965 e il 2017 ma non ovunque di questa portata. In Italia, per esempio, è stato molto maggiore: nel pieno del boom economico, lo Stato raccoglieva in tasse l’equivalente del 24,7% del Pil. La quota è poi salita al 36,4% nel 1990, al 40,6% nel 2000, per toccare un massimo del 43,9% nel 2012. In altri termini, nel 1965 lo Stato italiano era perfettamente nella media Ocse per quel che riguarda il peso del fisco; nel 2017 era però sopra dell’8,2%: nel periodo, la quota incassata da Roma è aumentata di 17,7 punti di Pil, contro i 9,3 della media Ocse. La relazione tra tasse alte e crescita scarsa non è diretta, dicono gli economisti. Ma è difficile pensare che non ci sia.

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