Fonte: La Repubblica
di Barbara Ardù
Da uno studio del Boston Consulting Group emerge come le responsabilità familiari in una coppia dove i due partner lavorano ricadano per il 75% sul sesso femminile. Serve una politica aziendale che non discrimini gli uomini che aiutano le loro compagne, ma al contrario che li incentivi a farlo
Quote rosa, lavoro flessibile, part time verticale o orizzontale, congedi di paternità. E poi comitati etici interni, bollini di qualità per quelle aziende “amiche delle donne” o che perseguono politiche che non fanno “distinzioni di genere”. Tutte buone intenzioni per favorire l’ascesa della donna a ruoli di leadership, solitamente in mano agli uomini. Politiche che aiutano certo, ma non sempre bastano. Una realtà raccontata da uno studio del Boston Consulting Group dal titolo significativo “Lightening the mental load that holds women back”, che senza tanti giri di parole e confortato dai numeri assegna già un’occupazione a tempo pieno alle donne, quella di manager della casa. Sono infatti loro a caricarsi non solo dei lavori domestici, ma anche della responsabilità che tutto fili al meglio.
Le incombenze domestiche in una famiglia dove ambedue lavorano, gravano infatti sulle spalle femminili con una probabilità due volte superiore. Basato su interviste a più di 6.500 lavoratori di diversi settori e in 14 paesi del mondo tra cui l’Italia, lo studio rivela che in una relazione con entrambi i partner occupati fuori casa, una donna ha una maggior responsabilità delle faccende quotidiane rispetto al partner: 2,5 volte superiore per quanto riguarda il bucato, 2,1 per la cucina, 1,8 per le pulizie, 1,6 per la spesa. C’è poi tutto il resto, dai bambini, alle bollette, agli anziani.
Non è che l’uomo sia con le mani in mano, solo che si limita a eseguire compiti di supporto (ma tra esecuzione e responsabilità la differenza è notevole). Manager a casa è dunque la donna, che non si limita a dare le linee guida, ma si carica del peso di portare a termine buona parte dei compiti. Questo doppio ruolo – manager e “staff” della casa, in gergo aziendale – equivale a una presa in carico del 75% del totale delle responsabilità familiari, che sottraggono non solo energie fisiche, ma anche mentali. E c’è anche la prova del nove: quando l’uomo è occupato part-time le responsabilità che pesano sulla donna scendono gradualmente, fino a un minimo del 4% se il compagno non lavora o è disoccupato. Cosa, tra l’altro, non sempre vera.
Ecco dunque che la donna accumula una stanchezza fisica e mentale che le lascia poco tempo per concentrarsi sulla carriera dedicandosi al networking, alla ricerca di nuovi incarichi, ai viaggi di lavoro. Molte aziende però messe di fronte a questa realtà, ormai difficilmente confutabile, rispondono “che non è compito del datore di lavoro entrare nelle case dei dipendenti”. Sarà. Ma il suggerimento che arriva dal Boston Consulting Group è un altro: appare evidente che se le aziende sono seriamente intenzionate a far crescere il numero di donne in posizione di leadership, devono affrontare il peso della responsabilità domestica e offrire un contributo al carico mentale che le donne portano con sé. E se la flessibilità del lavoro è un buon punto di partenza, non può bastare. Gli uomini, manager e colleghi, devono farsi testimoni di un modello comportamentale, sfruttando attivamente i programmi di lavoro flessibili e il congedo di paternità. E’ da loro, dunque, che deve arrivare l’esempio, a casa come in azienda. Come dire, cari uomini prendetevi di congedi di paternità senza temere di essere stigmatizzati, e care aziende non discriminate gli uomini che oltre alle responsabilità lavorative decidono di assumersi anche quelle familiari. Anzi cercate di creare network familiari di supporto dove i vostri dipendenti possano aiutarsi, discutere, confrontarsi. La cosa buona che emerge dallo studio però è che i Millenians questo lo sanno già.