19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Aldo Cazzullo

Il successo del presidente francese induce a cercare al centro, a destra, a sinistra una figura in grado di portare l’Italia fuori dall’impasse in cui si è infilata. Un auspicio condivisibile, ma irrealizzabile


Uno spettro si aggira per il Palazzo: lo spettro del Macron italiano. Il successo del presidente francese induce a cercare al centro, a destra, a sinistra una figura in grado di portare l’Italia fuori dall’impasse in cui si è infilata. Un auspicio condivisibile, ma irrealizzabile.
Il Macron nostrano non c’è e non verrà, innanzitutto perché alle politiche si voterà con il proporzionale, che va bene a tutti: a Grillo che non fa alleanze, a Berlusconi che non vuole legarsi a Salvini, a Renzi che non ha interesse né a gettare appunto Berlusconi nelle braccia di Salvini, né a trattare con gli scissionisti del Pd. Il meccanismo per cui Macron ha preso al primo turno il 24%, per poi conquistare sia l’Eliseo sia il Parlamento, da noi può riprodursi in un Comune; non nel Paese.
Ma il vero motivo per cui la ricerca del Macron italiano è destinata a rimanere infruttuosa è che la Francia ha un establishment, un sistema, un’élite; l’Italia no. Macron è figlio del desiderio di rinnovamento dei francesi, stanchi dei vecchi partiti e delle vecchie facce; ma è anche figlio dell’establishment. Meglio, è l’uomo su cui l’establishment ha puntato per intercettare la volontà di cambiamento e nello stesso tempo salvare se stesso. Anche in Francia esiste un forte sentimento antisistema, che al primo turno delle presidenziali ha gonfiato le vele di Mélenchon e Marine Le Pen, e potrebbe esprimersi presto in scioperi e scontri di piazza.
Però il sistema in Francia esiste, ed è fatto di grandi imprese e grandi scuole, di diplomatici e funzionari. Possono essere rivali; ma quando c’è di mezzo l’interesse nazionale, colpiscono uniti. Possono essere invisi a parte dell’opinione pubblica, ma si reggono su due baluardi: lo Stato, e la borghesia. Uno Stato che i francesi vorrebbero meno costoso, ma a cui sono legati sia da un forte sentimento nazionale, sia da una certa tradizione di efficienza burocratica. E una borghesia che coltiva per la politica un’estraneità al limite del disprezzo, ma ha saputo investire su un politico nuovo.
In Italia i movimenti populisti sono più forti: perché privi della zavorra ideologica che schiaccia Marine Le Pen a destra e Mélenchon a sinistra; perché la ripresa tarda ad arrivare ed è concentrata nelle zone già più avanzate; perché il disprezzo della politica si accompagna spesso — anche se non sempre — a un senso di estraneità verso lo Stato.
Questo non significa che l’Italia sia messa peggio della Francia. Siamo un Paese meno accentrato, in cui ogni città è una piccola capitale, non solo una prefettura. Per risorse d’intelletto, eredità di cultura, dinamismo d’impresa non siamo secondi a nessuno. Ma dallo stallo politico in cui ci siamo avviluppati non usciremo grazie a figure salvifiche. Né potremo contare su Macron, quello vero. Che si è fatto applaudire facendo suonare l’inno europeo prima della Marsigliese; ma sul caso Fincantieri ha già dimostrato che non è disposto a sacrificare nulla all’Italia. E nel rapporto con la Germania si comporterà come i suoi predecessori: impugnerà la bandiera dell’Europa mediterranea, per andare poi a trattare condizioni di favore per il suo Paese. All’Italia non serve il miraggio di un modello straniero, ma un paziente lavoro di ricucitura civile. Una svolta che rilanci gli investimenti, l’occupazione, la fiducia. A giudicare dall’astensione record, nel giorno in cui comuni dalla forte identità erano chiamati a eleggere il sindaco, sarà un lavoro lungo. La politica ha disperso un patrimonio di credibilità che non sarà facile ricostruire. Il viaggio comincia adesso. Purtroppo, o per fortuna, non consente scorciatoie.

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