Per vincere le sfide della rivoluzione digitale, fondamentale sarà la capacità dei governi di guidare i Paesi nella crescita delle competenze digitali tra gli occupati, i cittadini di tutte le classi sociali, di tutte le età. Competenza è consapevolezza. I Paesi hanno una grande opportunità, che può però trasformarsi in un meccanismo generatore di nuove diseguaglianze, tanto più profonde quanto più il
processo sarà veloce.
E allora partiamo dai dati amari che riguardano il nostro Paese. E soprattutto usiamoli per agire.
Qualche giorno fa Eurostat ha pubblicato statistiche sugli specialisti Ict in Europa. Non a caso. Infatti, la Commissione si era data l’obiettivo di raggiungere 20 milioni di specialisti nel 2030. Oggi sono 9 milioni. Obiettivo ambizioso e sfidante per tutti i Paesi. Ma per noi di più, perché siamo al di sotto della media europea, al 3,9% degli occupati. La Svezia è al 9%.
E siamo cresciuti meno che a livello europeo. C’è un’altra nota dolens da considerare. La maggioranza degli specialisti Ict è diplomata e non laureata come negli altri Paesi. Ci manca l’alta specializzazione. La porzione di giovani tra gli specialisti Ict è la più bassa d’Europa, sotto al 30%. Non parliamo di quella delle donne che non si è mossa negli anni dal 16% del totale degli specialisti. Che strategia si è dato il governo per accelerare e raddrizzare queste storture? Come pensa di far crescere nuove alte professionalità giovanili e femminili nel settore? E dove sono le assunzioni di professionalità alte anche nella Pubblica amministrazione? Siamo indietro e non possiamo permettercelo, tanto meno possiamo rinunciare anche solo a un curo del Pnrr, che aveva tra le priorità proprio la rivoluzione tecnologica.
Vivere in una società in piena rivoluzione digitale rappresenta una grande opportunità, sempre che si abbiano le competenze per sfruttarla.
Ebbene, anche per questo aspetto la criticità relativa al nostro Paese è grande. L’obiettivo europeo è raggiungere 1’80% di cittadini con competenze di base nell’Ict per il 2030. Ma noi siamo al 45%! Il problema è che l’alfabetizzazione informatica è avvenuta con il “fai date”, ma più la rivoluzione digitale avanza, più questo modello non sarà sostenibile. E si evidenzia la necessità di una strategia formativa a tutto tondo, che coinvolga anche i giovanissimi, spesso considerati solo in operazioni elementari su web.
Questa delle competenze digitali è una questione che si interseca con tutte le dimensioni della vita economica e sociale. E il nostro Paese può vincere questa scommessa se si pone in un’ottica di diritti che devono essere garantiti. La formazione per coloro che vengono espulsi dal mondo del lavoro o che cercano di inserirvisi è connessa alle conoscenze informatiche. Se il diritto a formarsi adeguatamente non diventa esigibile, i più vulnerabili diventeranno veri emarginati.
Le possibilità delle nostre aziende di essere competitive sui mercati, e specialmente di quelle del Sud, o di quelle piccole, dipendono dalla capacità di sfruttare le nuove opportunità della rivoluzione tecnologica, e dell’innovazione, pena lo spiazzamento. Anche in quest’occasione molto dipenderà da quanto l’azione di governo saprà agire su consapevolezza, innovazione e formazione digitale.
C’è bisogno di dotarsi di una strategia chiara che metta al centro competenze, diritti nuovi e vecchi, sviluppo della creatività nel lavoro. Una strategia che parta dalle scuole e attraversi tutta la nostra comunità.
Nessuno deve rimanere indietro. Abbiamo già troppe diseguaglianze nel Paese. La rivoluzione digitale non deve diventare un moltiplicatore delle diseguaglianze, ma l’opportunità per ridurle.
Una sfida che fa tremare i polsi. E che mi fa dire che non è certo tempo di ideologie, né di proclami, ma di competenze e di strategie. Nel
rispetto dei diritti e della crescita di tutti.
Nessuno escluso. Se ne è discusso tanto a Repubblica delle Idee in un’atmosfera bellissima di voglia di capire e di contare.