19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

È fondato il sospetto che l’unica «condizione» che al governo davvero non piace è l’obbligo di spendere i soldi esclusivamente per l’emergenza sanitaria


Ora che l’Italia sembra aver ormai deciso di non ricorrere al Mes anti pandemia (il Pd ci avrebbe rinunciato in cambio del sì pentastellato alla riforma dell’altro Mes europeo, quello salva Stati e salva banche), viene da chiedersi che si farà con la sanità. Quali e quanti soldi verranno stanziati per fronteggiare la crisi in corso, per ricostruire il sistema, per rafforzare il territorio, per organizzare la vaccinazione di massa. Noi cittadini potremmo infatti anche accettare che si decida di spendere un po’ di più all’anno in interessi sul debito (trecento milioni, secondo i calcoli del Tesoro): la politica ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Purché però si spenda per la sanità tutto ciò che serve, oggi per gestire questa emergenza e domani per non averne un’altra.
Nasce infatti il fondato sospetto che l’unica «condizione» di quel Mes che al nostro governo davvero non piace è l’obbligo di spendere i soldi solo ed esclusivamente per l’emergenza sanitaria, in maniera diretta o indiretta, e di rendicontarne l’utilizzo. Per tenersi le mani libere la politica, che non ha mai disdegnato di far debiti, evidentemente preferisce ricorrere all’emissione di titoli sul mercato. Intanto perché al momento costano molto poco, e anche questo lo dobbiamo all’Europa, cioè al massiccio piano di acquisti da parte della Banca Centrale. E poi perché fare debito in questo modo ha il grosso vantaggio che puoi spendere i soldi come vuoi; e anzi, anche non spenderli.
Da quando la crisi è cominciata il governo si è fatto autorizzare dal Parlamento quattro scostamenti di bilancio per un totale di deficit aggiuntivo, con conseguente aumento dello stock del debito, ben superiore ai cento miliardi. Questi soldi presi in prestito sono stati stanziati per le cose più varie: cassa integrazione straordinaria, ristori, bonus, monopattini, bici, ristrutturazioni di case. Molte cose necessarie, altre meno, qualcuna per niente: la discrezionalità nell’utilizzo dei fondi è un bene prezioso per la politica, che sa usarla anche a fini di consenso.
Ma noi sappiamo quanti di questi soldi sono stati davvero spesi? Ci sono stime, basate sulle sole voci rendicontate, secondo le quali più di un terzo di quella cifra potrebbe non essere stata effettivamente investita. Perché magari serve una commissione che non è stata insediata, o un decreto attuativo che non è stato fatto, o semplicemente perché la macchina amministrativa italiana ha perso la capacità di spendere. E in questo calderone, quanti soldi sono andati alla sanità? Il ministro Speranza ha dichiarato che sono stati stanziati 9,5 miliardi. Ma quanti effettivamente spesi? E se sono stati spesi, sono bastati? È ciò che chiede da settimane Carlo Calenda, finora senza risposte convincenti. Resta poi da capire quanti altri ne serviranno per tutto ciò che la crisi pandemica ci riserva ancora, dalla campagna dei vaccini a quella dei tamponi rapidi nelle scuole quando riapriranno, dal rafforzamento dei trasporti pubblici a quello delle unità di assistenza domiciliare e delle residenze Covid.
Poiché la nostra preparazione alla seconda ondata a dir poco non è stata impeccabile — è mancato perfino l’ossigeno — viene il dubbio che continuando così rischiamo ancora. Per mancanza di risorse, innanzitutto: mai abbastanza di fronte alla più grave pandemia da un secolo. Ma anche per incapacità di spendere, da parte dello Stato centrale e di molte regioni, per disabitudine al rendiconto, per voglia di tenersi le mani libere. Non ci resta che attendere con ansia i soldi del Recovery fund. Anche quelli sono in buona parte prestiti europei, ma sembrano più graditi: almeno ci si può fare una bella cabina di regia.

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