Fonte: La Stampa
di Alessandro Barbera
Le chiama così “vendite incontrollate”. È il rischio che corrono le banche gravate di troppi crediti deteriorati. In Italia è un problema serio, “come in passato lo è stato altrove”. Per risolverlo c’è bisogno di tempo, norme e pazienza. Non poteva essere più esplicito di così Mario Draghi nella consueta conferenza stampa mensile alla Banca centrale europea. Il caso del Monte dei Paschi di Siena preoccupa i vertici dell’Eurotower quanto e persino più della Brexit o della crisi turca. Più della zavorra che la banca più antica del mondo porta con sé, Draghi teme le conseguenze di un accordo con l’Europa che costringerebbe governo e Banca d’Italia a imporre il taglio delle obbligazioni subordinate. In conferenza stampa di questo il governatore non parla. Non può permettersi di entrare in rotta di collisione con un altra istituzione comunitaria. Però manda alcuni messaggi.
Il più importante lo si può riassumere così: le regole europee permettono l’intervento pubblico a sostegno delle banche, se necessario. Sia per gestire un’eventuale ricapitalizzazione che per contribuire a vendere i crediti deteriorati. Draghi non fa nomi, ma i numeri parlano da soli: circa un terzo delle sofferenze che pesano sulle banche europee sono italiane e portoghesi. Per risolvere il problema possono fare di più anche i governi “allestendo regole che rendano efficiente lo smaltimento di quei crediti”, e per smaltire dai bilanci quelli più vecchi.
Poi l’ottimismo della volontà: i crediti deteriorati “non li consideriamo un rischio ma un problema da affrontare”. Il governatore sta molto attento a non urtare campi di sua competenza, ma il messaggio qui è alla Commissione europea. Perché la palla è in mano “alla direzione generale sulla Concorrenza”. Le regole “ci sono e vanno rispettate, e prevedono tutta la flessibilità in circostanze eccezionali”. La circostanza eccezionale a cui non può dare un nome e un cognome si chiama Monte dei Paschi di Siena. Quelle regole – fa capire Draghi – oltre che applicate devono essere interpretate, e finora Bruxelles su questo si è mostrata piuttosto rigida.