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Hanno fondato insieme OpenAI, ora lottano per il suo controllo e per sussurrare all’orecchio di Trump. Una sfida di filosofie, di personalità e di miliardi

È la vecchia storia di due campioni che da alleati diventano nemici. Divisi dalle idee, dagli ego, dal potere. Ma è anche una sfida per il mondo nuovissimo, per controllare la tecnologia che promette – nel bene o nel male – di cambiare tutto. È la storia di Elon Musk, l’uomo più ricco, che miliardi alla mano prova a conquistare OpenAI, azienda fuoriclasse dell’Intelligenza artificiale che dieci anni fa ha contribuito a creare. E dell’alter ego Sam Altman, deciso, di nuovo, a respingerlo.

La filosofia del lungo termine
Lì nasce il reciproco e pubblico astio tra i due volti da copertina di Big Tech. Da quella che all’epoca era ancora una delle tante scommesse a tempo perso dei gigacapitalisti americani. Anno 2015, statuto fondativo della no profit OpenAI: creare una Intelligenza artificiale “che benefici l’umanità nel suo insieme, senza il vincolo di generare ritorni finanziari”. È l’ossessione di Musk e dei “longtermisti”, filosofia diffusa in Silicon Valley secondo cui l’imperativo è massimizzare i benefici futuri per il genere umano: l’IA può salvarci ma, teme Musk tra un auto elettrica e un razzo, anche soggiogarci ed estinguerci. Il giovane Altman ha bisogno dei suoi soldi, non è miliardario. Forse ci crede pure, anche se all’epoca fa un lavoro tutto diverso: dirige Y Combinator, leggendario incubatore di startup che le mette sotto steroidi in modo che attirino investitori.

Andate e ritorni
La rottura arriva presto. Musk la racconta come il tentativo di difendere la vocazione di OpenAI; Altman come un blitz dell’altro per assorbirla dentro Tesla e diventarne il capo. Vince Altman: Musk se ne va e insegue il futuro per conto proprio, mentre lui guida la mutazione della società. OpenAI crea una controllata a scopo di lucro di cui – quando il lancio di ChatGPT rivela al mondo le potenzialità dell’IA – Microsoft diventa primo finanziatore. In teoria il controllo dovrebbe restare alla no profit, custode della missione, in pratica quando nel 2023 gli amministratori tentano di licenziarlo, è lui a congedare loro.
Non che Altman sminuisca i rischi dell’IA, mentre ne celebra il potenziale: ha un rifugio sotterraneo pieno di provviste, per ogni apocalittica evenienza. Ma è un uomo di prodotti, investimenti e relazioni, e ora in piena corsa miliardaria vuole completare la trasformazione di OpenAI liquidando la vecchia no profit. L’offerta di Musk gli mette un gigantesco bastone tra le ruote, perché il suo assegno da 97 miliardi fissa un prezzo sotto il quale sarà difficile chiudere l’operazione. Obiettivo dichiarato: prendersi OpenAI per riportarla alla purezza delle origini. Lettura di Altman: tenta di rallentarci visto che xAi, il concorrente che ha lanciato, insegue da lontano.

California contro Texas
La storia sfida i tentativi di distinguere il buono e il cattivo. Vero, la svolta “affarista” di Altman ha fatto scappare da OpenAI tutti gli altri cofondatori preoccupati per il destino dei Sapiens. Nel frattempo però il futurismo di Musk ha avuto una svolta inquietante a destra, che lo ha reso grande elettore di Trump e megafono dell’internazionale nera. Fin dall’inizio i due erano incarnazioni diverse di Big Tech, negli anni è diventato sempre più evidente. Il 53enne Musk ha completato l’evoluzione da stempiato nerd a pompato Tony Stark, ha voltato le spalle alla California woke per trasferire casa e botteghe nel rosso Texas, promuove anche nei fatti (11 figli) la natalità, combatte diversità e immigrati, saluta a braccio teso. Il 39enne Altman vive con il marito a San Francisco, dove OpenAI ha sede, è vegano, ha risposto puntuale a qualsiasi convocazione del Congresso o di Biden, dice sempre a tutti la cosa giusta (come ChatGPT).
Ha anche fatto l’ennesimo capolavoro, proprio quando Musk sembrava essersi garantito il ruolo di zar tecnologico di Trump. Invece, poche ore dopo l’inaugurazione, eccolo alla Casa Bianca per annunciare davanti al presidente un mega centro di calcolo da 500 miliardi che renderà l’America great again. Apriti cielo. Su X Musk lo ribattezza “Scam” (truffa) Altman, accusandolo di non avere i soldi. Poi lancia l’assalto a OpenAI, a cui l’altro risponde «non siamo in vendita». Aggiungendo che Musk è un «insicuro: non credo sia felice, mi dispiace per lui».

Il potere dei tecno-oligarchi
Elon «odia uno di quei ragazzi», ha ammesso Trump. Ma scrolla le spalle: la competizione dentro Big Tech gli va bene, basta che alla fine sia l’America, non la Cina, a vincere la corsa all’IA. Per questo ha lasciato ai gigacapitalisti strada libera da paletti, fidandosi della promessa che si regoleranno da soli. Per questo loro hanno – tutti, al di là del credo profondo – baciato l’anello. Funzionerà? E per chi? Dietro alla rivalità tra geniali imprenditori, alle filosofie, agli ego, ecco la vera storia: l’inedita quantità di potere che, per convinzione o impotenza, la politica ha lasciato ai tecno-oligarchi. Il potere di giocarsi a miliardi, algoritmi e insulti il futuro. Auguri a noi spettatori.