Fonte: Corriere della Sera
di Paolo Valentino
Il neoministro degli Esteri: «Io non mi sono schierato, su Donald Trump c’è stato un eccesso di diffidenza»
«Sdegno profondo e forte condanna per due atti di barbarie», dice il neoministro degli Esteri, Angelino Alfano. «La strage di Berlino e l’uccisione dell’ambasciatore russo Karlov in Turchia ci rafforzano nella convinzione che occorre dare massima priorità alla lotta contro il terrorismo, in un quadro di intensa cooperazione con tutti i partner internazionali. A Germania e Russia tutta la nostra solidarietà».
La sua missione d’esordio prevede tappe a Berlino, Parigi, Londra e Madrid. Come risponderà alle domande sulla durata del governo e la stabilità politica dell’Italia?
«Guardiamo alla situazione politica di quei Paesi: Francia e Germania sono vicine al voto, il Regno Unito ha appena avuto un referendum e un cambio di governo, la Spagna è da poco uscita da una lunga fase di instabilità e di crisi. Quindi incontrerò colleghi che sanno esattamente di cosa stiamo parlando. Dirò che la scadenza naturale della legislatura è il febbraio 2018 e qualora si anticipasse il voto, sarebbe al più l’anticipo di un semestre. Nulla di traumatico. Sul fondo, ricorderò che la prua della nostra politica estera non cambia rotta: l’atlantismo, l’europeismo, il multilateralismo efficace e l’attenzione ai diritti umani, che hanno segnato l’azione dell’Italia nel Dopoguerra, rimangono garanzia della nostra affidabilità».
Quali saranno gli accenti diversi che lei intende dare al suo incarico?
«È evidente che, data la mia origine di frontiera di uomo del Mediterraneo, e la mia provenienza dal Viminale, avrò un più di attenzione sui temi della gestione delle frontiere esterne d’Europa e del rapporto con i Paesi d’origine e transito dei migranti. Il terzo elemento sul quale intendo mettere l’accento ha a che fare con la mia appartenenza politica ed è la persecuzione dei cristiani».
L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca suscita preoccupazioni e alimenta incertezze sul futuro dei rapporti transatlantici. Un ex ministro degli Esteri tedesco ipotizza addirittura la fine dell’Occidente, cioè del mondo democratico fondato sulla garanzia di sicurezza americana, emerso dalla Seconda guerra mondiale. Condivide questo allarmismo?
«Nella campagna elettorale per la Casa Bianca non mi sono mai schierato, mentre in molti prendevano posizione contro Trump. Questo ha senso per il rispetto degli elettori e nelle relazioni con le amministrazioni di altri Paesi, compresi gli Stati Uniti d’America. Penso vi sia stato un eccesso di diffidenza e di supponenza nei confronti del presidente-eletto. Quella che sta emergendo è un’Amministrazione fondata su un mix di tradizione repubblicana e stretto collegamento al mondo economico e imprenditoriale, tipico della democrazia americana. Io vengo da una traiettoria politica che mi ha fatto vivere sulla pelle l’incomprensione dei fenomeni italiani e dei successi di un tycoon. Avendola subita, non la applico agli altri, ma seguo un principio di realtà. Piuttosto penso che sarà indispensabile convincere gli Stati Uniti ad essere presenti in scenari regionali, dove l’assenza della loro leadership sarebbe penalizzante per tutti».
I futuri rapporti degli Usa con la Russia di Putin sono il tema più discusso e controverso di queste settimane. Cosa si auspica l’Italia dalla nuova amministrazione nei confronti di Mosca?
È nostro interesse che l’Amministrazione Trump consolidi con la Russia un rapporto, che tenendo il punto sui principi, scongiuri il rischio di una nuova guerra fredda. È irragionevole sperare in un ulteriore raffreddamento. L’Italia è stata lineare, ha applicato le sanzioni con rigore e lealtà, pagando un conto salato, ma ha sempre detto di essere contraria a ogni rinnovo automatico».
L’Italia dal 1 gennaio ha la presidenza del G7, previsto per maggio a Taormina. È ipotizzabile che, subordinandolo a passi in avanti nel dialogo, ci sia un invito anche per Vladimir Putin?
«Al momento mi sembra prematuro. C’è un lavoro complesso da fare. Il futuro che immagino è un futuro che rimetta la Russia a bordo di questi consessi. Ma oggi è troppo precoce ipotizzarlo».
Cosa manca in Libia per fare del governo Serraj il volano della pacificazione?
«Una cooperazione efficace fra le istituzioni e la chiarezza sul ruolo del generale Haftar: la comunità internazionale deve esercitare il suo peso senza ambiguità, per avvicinare Est e Ovest del Paese. L’Italia ha un interesse diretto, avendo pagato caro il conto dell’incompiutezza dell’azione internazionale, in termini di centinaia di migliaia di migranti. Per questo dico che la Libia deve rimanere alta nell’agenda globale e che allo stesso tempo bisogna lavorare agli accordi con i Paesi d’origine o di transito dell’Africa sub-sahariana, come il Niger. All’Europa chiederò che su questo fronte della rotta centro-mediterranea ci sia la stessa disponibilità di energie e risorse mostrata nella rotta balcanica».
Con quali idee e iniziative ci prepariamo alla ricorrenza dei 60 anni dei Trattati di Roma, nel marzo prossimo?
«L’Europa può essere ancora oggi la soluzione ma deve riprendere a dare lavoro e diritti. Altrimenti non si vincono la diffidenza e lo scetticismo. I padri fondatori promisero e in parte realizzarono pace e prosperità. Se questa promessa viene tradita, non possiamo sorprenderci di quanto succede: alta disoccupazione significa alto populismo. Per rianimare il progetto europeo occorre mantenere la pace e rilanciare la crescita. Poi c’è il tema della difesa, già caro a De Gasperi. Dobbiamo proteggerci meglio e avere accordi di cooperazione militare efficaci, non contrapposti alla Nato ma mirati a rafforzare il sistema complessivo di difesa e sicurezza europeo».
Matteo Renzi ha detto che per la legge elettorale bisogna ripartire dal Mattarellum. È d’accordo?
«Non credo che nell’attuale scenario tripolare il Mattarellum sia la legge che funzioni meglio. Ma noi non ci scansiamo dal tema della governabilità. Se si vuole procedere, si faccia una legge proporzionale, con un premio di maggioranza equilibrato e rispettoso dei canoni di costituzionalità indicati dalla Corte».