Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
Lo scenario emerso nell’incontro di Hangzhou vede nuovi Paesi in prima linea
Il G20 di Hangzhou, povero di risultati come tutti i vertici troppo affollati, è stato invece ricco di avvertimenti per un Occidente in pieno declino sulla mappa geopolitica del mondo. L’inventario delle battute d’arresto ascrivibili allo schieramento transatlantico non può che cominciare dalla potenza occidentale per eccellenza, l’America. Obama era arrivato in terra cinese, per l’ultima volta da Presidente, convinto di poter strappare a Putin una tregua in Siria e a Erdogan un rilancio dei rapporti tra Washington e Ankara. Sulla Siria l’intesa con il Cremlino si è rivelata impossibile perché Putin non ha voluto o potuto accettare una richiesta-chiave degli Usa: Assad doveva rinunciare all’uso della sua aviazione nella zona di Aleppo e poi nel resto del Paese. Quanto a Erdogan, non sarà una ambigua dichiarazione di Obama sul castigo dei golpisti di luglio a fargli cambiare direzione. In Siria la Turchia combatte l’Isis ma soprattutto allontana a cannonate i curdi filo-americani del Ypg, che sono ormai da anni il surrogato di quella fanteria che gli Usa non vogliono mettere in prima persona sul terreno.
Due motivi di imbarazzo per Obama, che ha ormai pochissimo tempo per risalire la china. Se non ci riuscirà (i contatti continuano) la quinquennale carneficina siriana e l’atroce sacrificio di Aleppo peseranno come macigni sull’ormai imminente tempo dei bilanci. Obama rischia di essere visto come il Presidente che ha «perso il Medio Oriente», anche se a perderlo davvero è stato George W. Bush. Ma tant’è: una eredità pesantissima attende, speriamo, Hillary Clinton, e non sarà facile per lei ristabilire da quelle parti la credibilità di una America che oltretutto non ha più bisogno di petrolio.
E che dire dell’Europa? Il G20 è stata una passerella malinconica, con la britannica signora May impegnata a rassicurare i giapponesi che causa Brexit minacciavano di trasferire altrove le loro fabbriche di automobili, con la germanica signora Merkel che tentava di dissimulare il colpo ricevuto nelle elezioni del Meclemburgo-Cispomerania, con il presidente del consiglio Tusk che sollecitava una improbabile solidarietà sull’accoglienza dei rifugiati. Il solo a sorridere era ancora Erdogan, consapevole di tenere in pugno la Cancelliera tedesca e il resto della Ue perché nella stagione elettorale appena cominciata il libero transito dei migranti dalla Turchia avrebbe l’effetto di orientare ancor più nettamente i responsi delle urne in Germania, ma anche in Olanda, in Francia, in Austria, forse in Italia.
A proposito, se l’Occidente declina dove dovremmo collocare questa Turchia diventata arbitro delle crisi che ci affliggono? Nella Nato, cui appartiene? Tra gli amici o tra i nemici potenziali dell’America? Tra gli amici o tra gli avversari prossimi dell’Europa? La polvere del dopo-golpe non si è ancora posata, ed è probabile che Erdogan, al di là delle dichiarazioni aggressive, non intenda tirare troppo la corda con i suoi alleati occidentali. Anche per raccogliere i vantaggi che già gli vengono dall’equilibrismo geopolitico, ora che è grande amico della Russia e che si accinge a chiedere l’appoggio di Putin per stabilire quella no-fly zone nel nord della Siria che è diventata possibile con l’avanzata dei carri armati di Ankara.
Non declina, di sicuro, la Cina che ha ospitato il G20. La sua crescita non è più quella di una volta, ma non è crollata come prevedevano interessati osservatori occidentali. Piuttosto, le ambizioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale sembrano essere indifferenti alle condanne americane come a quella della Corte dell’Aja, e Xi Jinping lo ha detto a un frustrato Obama che provava a strappargli qualche promessa di buona condotta.
E non declina più di tanto la Russia, che pure è alle prese con una grave crisi economica dovuta più al crollo delle quotazioni del petrolio che alle sanzioni occidentali per l’annessione della Crimea. Anzi, Putin è diventato protagonista centrale della crisi siriana, ha portato Erdogan dalla sua parte e ha buon gioco nell’indicare che non è soltanto lui il responsabile della guerra strisciante in Ucraina.
Resteranno queste, le linee di tendenza dei prossimi anni? La necessità di individuare strumenti per il controllo delle crisi regionali esige che non sia così. L’America è necessaria, e ha ragione Robert Kaplan quando dice che un declino americano sarà sempre relativo. L’Europa deve salvarsi, elettori e migranti permettendo. Russia e Cina devono essere tanto forti da accettare anche compromessi scomodi. Deve nascere, in definitiva, un ordine multipolare capace di gestire le tensioni di un dopo-Muro che è stato sin qui sinonimo di stragi e di impotenze. Comprese quelle del G20.