Due posizioni e tre incognite pesano sulle scelte dell’Unione europea. Con una sola certezza: nulla sarà come prima

È nei momenti in cui la storia accelera, in cui equilibri a lungo stabili si spezzano, che si può apprezzare la verità contenuta in una dottrina antica, per la quale vale il «primato della politica estera», l’idea che i rapporti fra i gruppi politici all’interno degli Stati dipendano, in primo luogo, dalla configurazione che assumono, di volta in volta, i rapporti «fra» gli Stati. L’accelerazione impressa da Trump al processo di logoramento (in atto da tempo) delle relazioni euro-atlantiche mentre incombe sul continente la minaccia russa, rimescola tutte le carte.
Anche se non sono mancate, negli ultimi anni, attenzione e iniziative da parte dell’Unione, è solo ora che sulla difesa europea si comincia (forse) a fare sul serio. È l’inizio di un processo che inciderà sugli equilibri interni agli Stati europei. È ormai chiaro che a scontrarsi saranno due opposte visioni di ciò che deve essere l’Europa futura: possiamo chiamarle l’opzione «Bielorussia» e l’opzione «Europa sicura». Da un lato, c’è la proposta di quelli che (in nome, dicono, di ideali pacifisti) vorrebbero volare a Mosca per trattare il passaggio del proprio Paese nell’area di influenza russa.
Dall’altro lato, ci sono quelli che non ci stanno, quelli che apprezzavano la protezione militare americana e che, in mancanza, vogliono che l’Europa si doti di un proprio potere deterrente, sia pure coordinandosi, per quanto sarà ancora possibile, con l’organizzazione Nato.
Prendiamo il caso dell’Italia. Come potrà presentarsi alle prossime elezioni una coalizione di governo nella quale lo scontro fra le opzioni di cui sopra è praticamente quotidiano? Per ora la coalizione tiene in virtù della leadership di Giorgia Meloni e del fatto che la condivisione del potere agisce da collante, ma le scelte che incombono metteranno sempre più in rotta di collisione le due opposte anime politiche. Se la maggioranza è nei guai (e lo è), in guai maggiori è l’opposizione dove non c’è neppure il collante del potere. La posizione meno invidiabile è quella del Partito democratico. Esso appare diviso fra la tentazione di contendere ai «bielorussi» le piazze pacifiste e la necessità di non spezzare il legame con il suo tradizionale europeismo. La divaricazione che si è registrata fra le posizioni della segretaria Elly Schlein e l’orientamento del Partito socialista europeo (di cui il Pd fa parte) non promette, per il suo partito, nulla di buono.
Non è probabile che il gioco delle alleanze e delle contro-alleanze continui a lungo ad essere in Italia ciò che è fin qui stato. Le nuove condizioni internazionali potrebbero favorire prima o poi inedite combinazioni.
Sulla carta l’opzione Bielorussia è in minoranza all’interno dei vari Paesi europei (Italia compresa). Ma il nostro è un continente «vecchio», in declino demografico. Gli anziani, per lo più, si aggrappano alle antiche abitudini, non vogliono che la loro routine quotidiana subisca scosse. Come convincerli ad adattarsi a condizioni nuove, a un mondo cambiato che, per ciò stesso, necessita di nuove regole? Dall’epoca, allegra e spensierata, della «fine della storia» a quella del dobbiamo dotarci di zanne e aculei per difenderci dai predatori, dal momento che chi ci difendeva prima non sembra più disposto a farlo, il salto è grande e repentino. Troppo per troppe persone. Può pertanto trovare molte orecchie disposte ad ascoltarlo chi avanza la tesi secondo cui non c’è bisogno di fare i sacrifici necessari per dotare l’Europa di un’autonoma capacità di deterrenza militare, non c’è bisogno di sconvolgere le tradizionali agende politiche nazionali. La partita fra l’opzione Bielorussia e l’opzione Europa sicura è aperta, gli esiti imprevedibili.
Tre altre incognite pesano sul futuro europeo. La prima riguarda l’Ucraina. Se le armi taceranno quanto sarà credibile la protezione armata di cui potrà disporre l’Ucraina al fine di garantirle una sufficiente protezione contro un’aggressione russa futura? E sul terreno ucraino che, in primo luogo, si misureranno la determinazione degli europei e la loro capacità di coordinamento reciproco al fine di difendere l’Europa dalla volontà di potenza dei russi. È in Ucraina che si porranno le basi della futura, se mai ci sarà, difesa collettiva europea. La seconda incognita riguarda i tempi. L’integrazione europea si è sviluppata solo in ambito civile ed economico. È uno strappo radicale quello a cui è chiamata l’Europa nel momento in cui la protezione americana non è più garantita. Ci vuole tempo per sviluppare una credibile difesa europea «multi-livello» centrata sul coordinamento fra gli eserciti nazionali. Ma di tempo, data la velocità dei cambiamenti internazionali, l’Europa potrebbe non averne molto a disposizione. Per inciso, «l’esercito europeo» di cui alcuni parlano potrebbe nascere, se mai nascerà, solo alla fine di un lungo processo, non all’inizio.
La terza incognita riguarda l’evoluzione futura dei rapporti fra Europa e Stati Uniti. Trump (dopo avere fatto tanti danni) potrebbe essere sostituito fra quattro anni da un’amministrazione meno ostile agli europei. Ma anche un’America che prendesse atto del fatto che la competizione con la Cina richiede di non rinunciare all’alleanza con l’Europa, vorrebbe comunque una presenza europea nella Nato diversa da quella del passato, un’Europa capace di vegliare sulla propria sicurezza.
In ogni caso, quale che sarà l’evoluzione internazionale futura, si illude chi pensa che non ci saranno cambiamenti di rilievo nelle democrazie europee, Italia inclusa.

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