Sfide, rischi e novità: come si muoverà la nuova amministrazione americana. Sul tappeto le guerre e i rapporti con l’Europa e la Cina
In attesa dell’insediamento di Donald Trump il 20 gennaio come presidente degli Stati Uniti, tutti trattengono il fiato aspettando le sue prime decisioni (Ucraina, Medio Oriente, dazi, confronto con la Cina) destinate a condizionare la politica mondiale. I più osservano che l’uomo è imprevedibile. Ma una cosa sappiamo per certo.Con Trump arriva a conclusione un processo iniziato da tempo: una drastica ridefinizione dell’interesse nazionale americano. Per decenni, dopo la Seconda guerra mondiale, l’interesse americano era stato declinato in chiave internazionalista: l’America si era posta alla testa di una vasta coalizione di Stati a cui offriva vari vantaggi (condizioni favorevoli alla libertà di commercio, protezione militare e altri benefici ancora), in cambio della accettazione della sua leadership. Con Trump (ma i primi segnali si erano già manifestati all’epoca della presidenza Obama) l’interesse americano viene ridefinito in chiave nazionalista. È semplicemente accaduto che il pubblico americano, a differenza di quanto aveva accettato per decenni, non è più da tempo disponibile ad assumersi gli oneri (si pensi al costo delle guerre di Afghanistan e Iraq) che sempre accompagnano gli onori riservati alla leadership. Una America che ridefinisce in questo modo il proprio interesse, per ciò stesso cambia radicalmente il mondo in cui viviamo.
Se questa ridefinizione dell’interesse nazionale è il filo rosso che lega la prima presidenza Trump (2017-2021) alla seconda che sta per iniziare, è però anche vero che le situazioni che aveva di fronte il Trump numero 1 erano diverse da quelle che dovrà fronteggiare il Trump numero 2. All’epoca del Trump numero 1, il risorgente imperialismo russo si era già messo in moto (Georgia nel 2008, Crimea e Donbass nel 2014) ma non sembrava ancora pronto a lanciare il guanto di sfida al mondo occidentale. Trump potè allora permettersi di trattare la Nato come una anticaglia del passato, una palla al piede di cui sembrava pronto a sbarazzarsi. Il presidente francese Macron parlò di «morte celebrale» della Nato. Poi, in epoca post-trumpiana, quando all’Amministrazione Trump era subentrata quella di Biden, Putin (febbraio 2022) invase l’Ucraina. È l’evento che ha cambiato tutto. Il Trump numero 2 deve ora decidere se all’interesse americano reinterpretato in chiave nazionalista serve chiudere la guerra di Ucraina permettendo a Putin di cantare vittoria. E, in tale eventualità, deve anche valutare quale sarebbe l’effetto sul comportamento del «rivale sistemico» degli Stati Uniti, ossia la Cina. Xi Jinping interpreterebbe una eventuale vittoria di Putin in Ucraina come un via libera per il suo progetto di dare scacco matto a Taiwan, di invadere l’isola? L’America nazionalista di Trump potrebbe permettersi tutto ciò? Come si vede, Trump numero 2 dovrà fare i conti con problemi con cui Trump numero 1 non si confrontò.
È possibile che questo nuovo scenario cambi, rispetto all’epoca della prima presidenza Trump, anche i rapporti fra la nuova Amministrazione e l’Europa. È possibile che egli finisca per accettare di fare i conti con l’incapacità dell’Europa di reggersi sulle proprie gambe. Certo, Trump, come è nella sua vocazione, ricorrerà il più possibile a rapporti bilaterali con i vari Paesi europei ma dovrà anche decidere se, per esempio in materia di dazi, convenga davvero all’America cercare di mettere in ginocchio l’Europa. Tralascio qui di considerare ciò che molti economisti hanno osservato: ossia, che una politica di alti dazi verso l’Europa finirebbe per danneggiare anche l’America.
Il problema può essere così posto: di fronte alla sfida delle potenze autoritarie, l’America-fortezza, l’America che va per la sua strada, forte della sua ricchezza e della sua potenza militare, è un’America davvero in grado di tutelare l’interesse americano come Trump e i suoi elettori lo intendono? D’accordo, Trump è imprevedibile. Ma il mondo con cui avrà a che fare è cambiato. È ragionevole aspettarsi che la sua politica debba tenerne conto.
E, dato tutto questo, l’Europa che farà, come affronterà l’era Trump? Per molti versi l’Europa sembra «la bella addormentata nel bosco». Le opinioni pubbliche europee paiono, in larga misura, ignare del fatto che il mondo sia diventato per noi assai pericoloso. Molti, ad esempio, lamentano che Trump pretenderà (come certamente pretenderà) un forte aumento di spese militari da parte dei Paesi europei. Costoro sembrano ignorare che l’Europa ha bisogno di investire massicciamente nella propria difesa anche a prescindere da ciò che vuole o non vuole il nuovo presidente americano. Da questo punto di vista il messaggio di Trump può essere così tradotto: «Solo se l’Europa darà prove di volersi aiutare da sola, potrà contare sull’aiuto americano». Un messaggio che può scandalizzare soltanto quelli che, avendo goduto per decenni della protezione americana, la davano per scontata, la consideravano un «diritto acquisito». Certamente, «consumare» sicurezza prodotta da altri, è più comodo, molto più comodo, che produrla in proprio.
Essendo cambiato il mondo, difficilmente la presidenza Trump sarà semplicemente un déjà-vu, la ripetizione di quanto fece in passato. Di sicuro, però, un elemento comune ci sarà. Il passaggio dall’America internazionalista a quella nazionalista significa che nessuno ha più diritto a pasti gratis. Gli europei devono farsene una ragione.