Fonte: Corriere della Sera
di Ernesto Galli della Loggia
È vero che per la destra italiana il fascismo costituisce un problema, ma per la sinistra lo è la posizione avversa
Periodicamente la sinistra scopre che l’Italia non è il Paese antifascista che vorrebbe, a differenza secondo lei di tutte le altre democrazie europee degne di questo nome. E regolarmente ne addebita la colpa alla «destra politica», ai «moderati» (un termine equivoco che peraltro la stessa destra italiana stupidamente usa di continuo non accorgendosi del sentore di pavidità sorcesca, di miseri orizzonti umani che il termine emana), colpevoli per l’appunto di non sentire a sufficienza l’obbligo dell’antifascismo, che così resterebbe sulle spalle unicamente della sinistra stessa. Ha dato voce da ultimo a questo lamento Michele Serra su La Repubblica di qualche giorno fa a proposito di una campagna per lo scioglimento di CasaPound. Egli ha scritto per l’appunto che qui da noi i suddetti moderati non si sarebbero mai dati la briga di dar vita a «un partito conservatore antifascista», a riprova dunque che «il nuovo fascismo italiano, in tutte le sue forme, è fondamentalmente un problema della destra politica italiana» sempre restia, a differenza delle altre dell’Europa occidentale, a fare i conti con tale minaccia.
Qui ci sono, mi pare, molte cose da chiarire. A cominciare proprio da quello che viene definito «il nuovo fascismo italiano». Della cui pericolosa esistenza Serra cita come prove l’aggressione a un gruppo di ragazzi di sinistra del cinema «America» a Roma, una serie di attacchi omofobi e di gesti antisemiti (come le «pietre d’inciampo» divelte a Roma, o i comportamenti delle curve ultra allo stadio o le numerose scritte inneggianti al duce sui muri sempre della capitale). Fatti riprovevoli, d’accordo, ma se questo è «il nuovo fascismo italiano» che cosa dovremmo dire allora, che so, della Svezia dove un partito apertamente filonazista e razzista ha da poco ottenuto un’ottantina di seggi in Parlamento? o della sempre lodata Germania dove i movimenti nazisti con cortei, bandiere e pestaggi di emigranti fanno parlare di sé un giorno sì e l’altro pure? o dell’Olanda dove è rappresentato anche lì in Parlamento un partito come il «Forum per la democrazia» che a imitazione di Hitler si proclama contro l’«arte degenerata» del Novecento (accade anche questo!) e sostiene che il quoziente intellettivo degli olandesi è superiore a quello degli abitanti del Surinam? Come mai – mi chiedo, e forse dovrebbe chiederselo anche Serra e con lui molti altri – il tanto lodato antifascismo dei moderati tedeschi, svedesi, olandesi e dei loro nobili partiti conservatori non funziona da antidoto contro questa robaccia che forse è alquanto più rilevante della robaccia di CasaPound? E come mai neppure in Spagna in Francia i suddetti moderati antifascisti sembrano essere riusciti a impedire il revival del franchismo o il pullulare oltralpe di profanazioni di cimiteri ebraici, di giornali e gruppuscoli antislamici, razzisti, tradizionalisti, xenofobi, e chi più ne ha più ne metta? Come mai?
La verità è che – esattamente come negli anni venti del Novecento – le ideologie antiliberali e antidemocratiche ricompaiono oggi in modo virulento in tutta Europa (anzi in Italia forse meno che altrove) non già per l’insensibilità antifascista dei «moderati», ma per l’incapacità dello schieramento democratico – sinistra in prima linea – di dare risposte convincenti ai nuovi problemi e alle tensioni che affliggono le nostre società.
Ma, detto ciò, Michele Serra ha ragione nel vedere una particolarità dell’Italia. Una particolarità che è diversa però da quella ch’egli descrive, e che io illustrerei così: se è vero che il fascismo è un problema per la destra italiana allo stesso modo l’antifascismo lo è per la sinistra. Aggiungendo che tra le due cose c’è un’ovvia e decisiva relazione che ha influenzato l’intera storia repubblicana.
La particolarità italiana consiste nel fatto che qui da noi l’antifascismo invece di rappresentare un elemento unificante tra destra e sinistra ha costituito viceversa un tratto divisivo tra le due. Ma ciò è accaduto e in qualche misura accade tuttora non già perché, come pensa Serra, i «moderati» italiani, la destra, non siano abbastanza antifascisti. Ma soprattutto, perché essi non vogliono esserlo al modo che vorrebbe la sinistra. Non intendono cioè l’antifascismo come l’intende la sinistra. Quando si parla di queste cose non bisogna dimenticare che dietro di esse c’è una lunga storia. Nel corso della quale, per l’appunto, un partito che si chiamava Partito comunista non solo usò a lungo la sua massiccia partecipazione alla Resistenza, la sua adesione all’antifascismo, per quasi identificarsi con esso e in tal modo cercare di far dimenticare le proprie scarse credenziali democratiche, ma per molto tempo ebbe pure l’abitudine di qualificare come «fascista» qualunque «moderato» combattesse con decisione i suoi disegni, pretendendo che in nome dell’antifascismo ogni «onesto democratico» facesse altrettanto. E se capitava che quello invece non si adeguasse rischiava facilmente che l’antifascismo fosse usato contro di lui. Tutto ciò ha lasciato il segno. Che io sappia solo in Italia, ad esempio, alla massima celebrazione ufficiale della Resistenza – il corteo milanese del 25 aprile – capita regolarmente che in nome dell’antifascismo vengano coperti d’improperi i rappresentanti della Brigata Ebraica che combatté per la liberare la Penisola, senza però che si trovi mai il modo di cacciare fuori dal corteo a calci nel sedere gli sciagurati autori degli improperi stessi. Perché secondo lei, gentile Serra, solo in Italia, a Roma, la Comunità ebraica celebra il 25 aprile in una manifestazione diversa e distinta da quella dell’Anpi? Non sarà, come dicevo, che forse l’antifascismo è un problema della sinistra italiana?
Questo ambiguo uso dell’antifascismo da parte della sinistra (ma diciamo pure del Partito comunista che in Italia ne è stato il suo massimo esponente), un uso volto a farne una risorsa politica di esclusiva proprietà, è stato possibile grazie a una circostanza storica, questa sì, peculiarmente italiana che ha pesato e pesa tuttora. E cioè che per ragioni che qui è impossibili ricordare, qui da noi ad avere nell’antifascismo e nella Resistenza non solo e non tanto un ruolo preminente, ma soprattutto una particolare capacità di elaborare e propagandare ideologicamente il proprio ruolo e a farne motivo fortissimamente identitario, fu il Partito comunista. Ciò che invece è stato impossibile sia in Francia che in Germania. Nella prima, infatti, la Resistenza antifascista ebbe il suo capo riconosciuto, il suo organizzatore e il suo simbolo in un coriaceo generale tradizionalista, de Gaulle, dagli inequivocabili sentimenti anticomunisti. In Germania, invece, una sentenza della Corte Costituzionale, mettendo subito al bando il partito comunista come partito antidemocratico ed escludendolo quindi fin dall’inizio dalla scena pubblica, impedì per ciò stesso che esso potesse porre una qualsiasi ipoteca sull’antifascismo della democrazia tedesca. Ecco perché oggi in entrambi quei Paesi i moderati possono essere, e sono, antifascisti senza problemi: perché lì essere antifascisti non implica alcun rapporto con la sinistra comunista ma solo con la democrazia. E perché lì, per converso, la sinistra non usa ancora oggi l’antifascismo ad ogni piè sospinto per dare addosso ai propri avversari cercando di coprire così il proprio vuoto politico. In Italia in occasione del referendum costituzionale non è diventato fascista pure Matteo Renzi, come del resto lo era stata a suo tempo a più riprese anche la Democrazia cristiana?