19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

La sponda scivolosa per i dem sono i rapporti con l’alleato di governo dell’ultimo anno, di ieri e, forse, di domani


Le bordate di Enrico Letta contro il capo leghista Matteo Salvini e quelle del suo predecessore Nicola Zingaretti contro la sindaca grillina di Roma, Virginia Raggi, indicano un Pd impegnato su due fronti. Quello nazionale vede un centrosinistra incline soprattutto a marcare le distanze dal Carroccio: un avversario scontato, perfino funzionale nel gioco delle parti reciproco tra gli schieramenti. Il segretario che esprime nell’incontro di ieri con Mario Draghi «insoddisfazione per il metodo Salvini», accusato di stare «con un piede dentro e uno fuori», conferma questa strategia.
Ma la vera insidia è l’altra. La sponda scivolosa sono i rapporti con l’alleato di governo dell’ultimo anno, di ieri e, forse, di domani. L’intesa col M5S si dimostra un’operazione di acrobazia. A livello europeo, un grillismo apolide, rifiutato finora dalle grandi famiglie politiche, si appoggia al Pd per essere lasciato entrare in tempi più o meno lunghi nel gruppo dei socialisti. E questo mentre la Commissione europea mette tutti i governi davanti alle proprie responsabilità, invitando i Paesi a pubblicare i Piani per la ripresa mandati a Bruxelles.
Ma a livello locale, le contraddizioni e le risse nel M5S si scaricano sulle intese virtuali col Pd. La dirigenza nazionale può soltanto cercare di arginare gli attacchi; e in parallelo sperare che prenda forma la leadership dell’ex premier grillino Giuseppe Conte; e che la campagna elettorale nelle grandi città in vista del voto di ottobre non sbricioli quel tanto o poco di convergenza essenziale per abbozzare un’alleanza. È bastato che trapelasse l’idea di Conte di permettere le candidature per la terza volta «per motivi di merito» per scatenare l’ira del Movimento.
Eppure, a ventilarlo è stato il capo designato del futuro. Il problema è che lo è solo in teoria, perché di M5S ne esistono ormai molti. E a Roma, intorno al Campidoglio e a difesa di Raggi, sono asserragliate truppe grilline decise a farne l’ultima roccaforte da difendere: una sorta di «piccola Palazzo Chigi» dalla quale la sindaca non deve essere sfrattata come è successo con Conte; e che considera il Pd, prima del centrodestra, come il nemico da sconfiggere.
Forse perché l’avversario più prossimo da sfidare in vista dei ballottaggi sarà quello. Così, appena Zingaretti ha criticato le colate di asfalto ordinate dalla sindaca sul Lungotevere, la passeggiata che segue il corso del fiume nella capitale, è scattata la reazione. «Zingaretti come Salvini», hanno tuonato i grillini, additando i sindaci Pd del passato come primi responsabili degli scempi, e scegliendo un paragone politicamente tagliente. Ma è solo l’assaggio di uno scontro che i leader di Pd e M5S faticheranno a contenere, nei prossimi mesi.

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