O il leader di Forza Italia si è convertito, passando dall’alleanza con il Diavolo a quella con l’Arcangelo Gabriele, dalle tenebre alla luce, oppure Berlusconi non è cambiato ma sono cambiate solo le circostanze e le convenienze
Da quando, esattamente, Silvio Berlusconi ha cessato di essere l’Uomo Nero? Quando si tratta di affari pubblici l’Italia soffre di una particolare forma di amnesia detta anterograda: non ha memoria a breve termine. Si sveglia la mattina e non ricorda che cosa abbia pensato, detto e fatto il giorno prima. C’è chi oggi parla con venerazione della «maggioranza Ursula» composta da quei partiti (Pd, Cinque Stelle, Forza Italia) che, nel Parlamento europeo, nel 2019, votarono a favore dell’attuale presidente della Commissione. C’è chi, in zona Pd, pensa di eleggere insieme a Berlusconi, contro Salvini e Meloni, il futuro presidente della Repubblica. Si pensa anche, sempre da quelle parti, che se una tale operazione andasse in porto, si potrebbe ipotizzare, addirittura, dopo le prossime elezioni, una coalizione di governo Pd, Cinque Stelle, Forza Italia. Operazione possibile dal momento che Matteo Salvini, ormai da alcuni anni, ha strappato l’ambito titolo di Uomo Nero di turno dalle mani di Berlusconi. Però, un Paese senza memoria è un Paese finito. È dunque meglio sforzarsi di ricordare. Per più di un ventennio — dal 1994, anno della «discesa in campo» di Berlusconi per lo meno fino al 2011, quando cadde il suo ultimo governo — l’Italia bipolare non era altro che questo: Berlusconi di qua e gli antiberlusconiani di là. Era un bipolarismo con forti tratti patologici.
Le due fazioni, infatti, si raffiguravano a vicenda come l’incarnazione del Male assoluto: dall’altra parte ci sono i comunisti (sottinteso: quelli che mangiano i bambini), diceva Berlusconi; dall’altra parte c’è la peggio Italia, corrotta, criminale e parafascista, dicevano gli antiberlusconiani. La violenza verbale era tale che ci si potrebbe chiedere come mai non degenerò in violenza fisica (salvo , come si ricorderà, l’episodio dell’aggressione a Berlusconi). Il «Cavaliere nero» come egli venne subito definito quando, prima delle elezioni del ’94, dichiarò che nelle amministrative di Roma, se avesse potuto votare, avrebbe scelto Gianfranco Fini, era talmente odiato dalla parte avversa che, per un ventennio, si sprecarono gli auguri di morte (con collegati brindisi) per l’uomo di Arcore. I più umani si limitavano ad augurargli il carcere a vita mentre tifavano (sguaiatamente, diciamocelo) per tutti quei magistrati, e furono parecchi — le aziende di Berlusconi furono le più indagate in assoluto fra tutte le aziende italiane —, che cercavano di catturare il Caimano. Alla fine ci riuscirono.
In certi ambienti si parlava solo del conflitto di interessi, della anomalia Berlusconi. Se facevi notare che l’anomalia Berlusconi era a sua volta il frutto di un’altra anomalia, ossia la distruzione violenta, per via giudiziaria, di un’intera classe politica (quella della Prima repubblica), ti davano subito del berlusconiano. C’era insomma un clima di evidente isteria. Il tutto, lentamente, dopo il 2011, andò stemperandosi, gli antichi furori si placarono a poco a poco. Ci fu anche, imposta dalla necessità, una breve, imbarazzata, convivenza in una maggioranza di governo. Ma fare finta di dimenticare quanto era accaduto dopo il 1994, evitare di spiegare come e perché le cose siano cambiate, come e perché Berlusconi abbia smesso di essere l’incarnazione del Male, può fare comodo a questo o a quello ma di sicuro non fa bene al Paese: una onesta spiegazione sarebbe doverosa, tacere e fare finta di niente è solo una truffa, un imbroglio. Niente di buono può mai nascere dagli imbrogli.
Delle due l’una: o Berlusconi, da un po’ di tempo a questa parte, si è convertito, passando dall’alleanza con il Diavolo a quella con l’Arcangelo Gabriele, dalle tenebre alla luce, oppure Berlusconi non è cambiato ma sono cambiate solo le circostanze e le convenienze.
È vera la seconda ipotesi. In primo luogo, ovviamente, Berlusconi è politicamente molto più debole che in passato e quindi non fa più paura, non minaccia più gli interessi che minacciava un tempo. In secondo luogo, come ho già detto, il titolo di Uomo Nero gli è stato portato via. Non è più lui colui a causa del quale c’è il (solito) «fascismo alle porte».
La verità è che una certa sinistra preferisce rimuovere il problema piuttosto che chiedersi perché non sia stata in grado di dare una valutazione più equilibrata, un giudizio meno viziato da isterismi e esagerazioni, quando Berlusconi era potente. Se fosse capace di affrontare pubblicamente questo argomento avrebbe anche la possibilità di dare una giustificazione accettabile (per quasi tutti) del nuovo corso, del nuovo atteggiamento verso Berlusconi. Forse non può farlo perché in quel caso sarebbe costretta a prendere atto di alcuni propri vizi di cui è incapace di liberarsi.
Il Berlusconi (un magnate delle comunicazioni) del ’94 e seguenti era certamente una anomalia che però dipendeva, a sua volta, da una catena di precedenti anomalie (la democrazia bloccata per un quarantennio a causa della presenza del più forte partito comunista d’Occidente, la rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite). Ma il resto non era così spaventoso come i suoi nemici sostenevano. Egli aveva ereditato gran parte dell’elettorato dei partiti democratici anticomunisti della Prima Repubblica (la Dc ma anche il Psi, i repubblicani, i liberali). Era quello il suo insediamento elettorale. Ad esso aveva aggiunto — questa sì era una novità — una enfatizzazione dell’importanza e del ruolo delle imprese private (di cui era testimonianza il gran numero di imprenditori che lo seguirono), nonché delle libere professioni e delle partite Iva, che spaventava — perché ne minacciava gli interessi — i partiti che rappresentavano il ceto impiegatizio, soprattutto pubblico. L’epoca berlusconiana va certamente criticata, e anche duramente, per le improvvisazioni demagogiche e soprattutto per quella che fu la più grave colpa: Berlusconi predicò bene e razzolò male, fece promesse elettorali (di liberazione dai lacci e lacciuoli che gravavano sul Paese, dall’eccesso di statalismo) che non fu in grado di mantenere. Ma non era quel concentrato di malvagità che l’isteria dei nemici gli attribuiva.
La domanda che bisogna porsi è questa: che cosa c’è, nell’acqua che beviamo o nell’aria che respiriamo, che rende così irresistibile l’esigenza di avere di fronte nemici anziché avversari? Fossimo capaci di rispondere, forse l’Italia cesserebbe di essere ciò che è sempre stata: una democrazia difficile.