La legge proibisce il trasferimento e la gestione fuori dalla Repubblica popolare di qualsiasi informazione digitale che riguarda i cittadini e le imprese
Dai dazi sulle auto elettriche cinesi alle sanzioni sulla vendita di tecnologie alla Russia, questi anni sono segnati da nuove barriere agli scambi di beni materiali. Xi Jinping invece è già oltre, perché sta alzando nuovi muri per la più immateriale di tutte le risorse: i dati digitali. Negli ultimi mesi il presidente cinese ha dato via libera a una nuova legge sui cosiddetti (a Pechino) «operatori di infrastruttura delle informazioni critiche». Altrimenti dette, le imprese estere e in particolare quelle occidentali. Sono queste ultime a possedere le «informazioni critiche» su centinaia di milioni di consumatori e fornitori cinesi. Conservano nei loro cloud in Europa o negli Stati Uniti tutti i dati che hanno raccolto commerciando e producendo in Cina.
Ora però le aziende occidentali sono investite dalle nuove norme volute da Xi. La legge proibisce il trasferimento e la gestione fuori dalla Repubblica popolare di qualunque informazione riguardo a cittadini e altre entità cinesi. Aziende del lusso italiane e francesi, produttori di auto tedeschi o banche americane non potranno sapere più niente — fuori delle loro sedi cinesi — sui loro clienti e fornitori nella Repubblica popolare. Non potranno usare quei dati in nessun modo. Tolte poche eccezioni stabilite da Pechino in modo piuttosto arbitrario, le imprese estere dovranno segregare in Cina tutti i dati che vi raccolgono. Molte stanno anche restituendo a Pechino le migliaia di miliardi di dati già raccolti e immagazzinati in passato. Giusto per non irritare Xi.
Un investimento enorme, che molti stanno eseguendo freneticamente in queste settimane. Ma quelle informazioni non erano rubate: i consumatori cinesi stessi avevano dato in grandissima maggioranza il loro consenso al trattamento dei loro dati all’estero. Si erano dimostrati più aperti al mondo del loro leader supremo: troppo, per i gusti di Xi Jinping.