Di qui alle Europee si apre una fase di dodici mesi con tante incognite. Lo stop ai «cacicchi» e l’asse con il M5S (punta però a vampirizzarli)
«Giusto sostenere l’Ucraina, ma da pacifista dico che la Ue è mancata nella diplomazia, non aspetto fino all’ultimo fucile». «Con i Cinque stelle spero si potrà lavorare insieme, lo penso oggi, lo pensavo ieri, lo penserò domani». «La colpa è di chi per anni ha inseguito il centro, perdendo la sinistra e un intero blocco sociale». «Basta con l’usato sicuro, i cacicchi e i capi bastone, basta con le donne che vanno bene solo per fare le vice».
Non c’è bisogno della palla di vetro per capire che Pd sarà quello a trazione Elly Schlein, bastano le sue frasi. Che facciano di lei una rivoluzionaria veggente o una velleitaria movimentista è presto per dirlo. Di certo c’è una domanda inevasa che riguarda il Pd delle origini.
L’obiettivo era quello di costruire una forza di sinistra capace di non essere minoranza, ma di aggregare intorno a sé, con una vocazione maggioritaria, forze sufficienti a governare il Paese. Fuori da questo le alternative erano ancora due: condannarsi a una deriva ideologica e minoritaria, oppure, alla fine, consegnarsi a qualsiasi alleanza, magari con Francesco Cossiga, o con Clemente Mastella, o addirittura con Romano Misserville, come la storia quasi recente ricorda.
Il primo punto è l’unità del partito che eredita. L’abito fa il monaco, ed è possibile che conceda agli sconfitti il contentino della presidenza del partito: voti delle primarie alla mano, lei ha vinto ma gli altri sono quasi la metà. Dai primi segnali però non viene nulla di più. Se Bonaccini, in caso di vittoria, le aveva offerto il posto di vice, Elly si è guardata bene dal ricambiare. Non sembrano preoccuparla, al momento, le fibrillazione dei riformisti e dei cattolici, che, pronti via, hanno visto l’addio al Pd di Giuseppe Fioroni. Quello che pare di capire è che rassicurare non sia tra le sue priorità. E infatti nell’area riformista prevale il calma e gesso, che se proprio andar via si deve, bisognerà farlo senza fretta e tutti insieme, secondo la vulgata che qualcuno attribuisce all’ex ministro Lorenzo Guerini. Ma anche l’assalto del Terzo polo non sembra impensierirla, convinta come pare che si tratta di Palazzo e non di popolo e che eventuali fughe parlamentari interessino più le manovre corsare di Matteo Renzi piuttosto che il progetto politico di Carlo Calenda.
L’altra branca riguarda il rapporto con i Cinque stelle, che solo all’apparenza hanno qualcosa da festeggiare. Lo rivelano gli auguri spigolosi di Giuseppe Conte, preoccupato dalla competizione. Non c’è dubbio che Schlein guardi da quella parte per future alleanze, ma per ora punta soprattutto a vampirizzare i grillini, visto che le elezioni sono lontane. Ma rischia l’inciampo, nell’inseguirli nell’ambiguità sul sostegno all’Ucraina.
Un punto non risolto riguarda il suo rapporto con i capi corrente che l’hanno sostenuta. I debiti sono debiti, e Dario Franceschini, Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Goffredo Bettini e Giuseppe Provenzano si sono spesi per lei. Ma al momento non si prospettano promozioni, se non forse per Francesco Boccia. La aiuta anche l’accusa di Bonaccini di avere avuto tutti i big dalla sua parte, e pare intenzionata a non ricambiare, per smentirlo.
Del resto si sa che la riconoscenza non vide mai re e per un posto in prima fila c’è il fedelissimo Marco Furfaro. Più aspro il rapporto che si annuncia con i gruppi parlamentari. Non gradisce né Debora Serracchiani alla guida della Camera, né Simona Malpezzi al Senato. Ma far fuori le due donne non sarà indolore, e l’autonomia dei parlamentari è uno scoglio contro il quale si sono infranti già altri segretari.
D’altronde, ha soprattutto un’altra donna nel mirino: Giorgia Meloni. È convinta di poterla mettere in difficoltà, con le mani libere dell’opposizione mentre la premier ha le mani occupate dai mille fronti del governo.
Per ora Elly Schlein ha un orizzonte lungo dodici mesi, quelli che la separano dalle elezioni europee. Lì, con il voto proporzionale, misurerà la sua forza, poi verrà il tempo della fase due, o, se andasse male, il momento di lasciare.
La lotta al precariato, un reddito per i poveri, la difesa dei migranti, sanità e istruzione pubblica e diritti civili saranno i suoi cavalli di battaglia, con la strada in discesa dell’opposizione. Più erta la salita della politica internazionale. Premerà sulla ricerca della pace in Ucraina, proposito di per sé lodevole, ma dovrà fare i conti con il rischio di scivolare in una deriva putiniana, in contrasto con l’Europa e gli Stati Uniti, oltre che con un gruppo parlamentare che almeno all’ottanta per cento rifiuta cedimenti.