Fonte: La Stampa
La messa di Francesco in Chiapas, tra le popolazioni indigene: «I vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società» perché i loro valori e la loro cultura sono stati considerati «inferiori», mentre potere, denaro e leggi del mercato li hanno «spogliati» delle loro terre o «hanno realizzato opere che le inquinavano». Un rappresentante delle comunità locali al Pontefice: «Grazie per averci fatto visita, nonostante molte persone ci disprezzino»
«Perdono! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!». È il grido con cui Francesco invita a fare un esame di coscienza su come sono state trattate le popolazioni indigene, popoli «incompresi ed esclusi dalla società» perché le loro tradizioni sono state considerate «inferiori» mentre potere, denaro e leggi del mercato li hanno «spogliati» delle loro terre o «hanno realizzato opere che le inquinavano». Il Papa celebra la messa a San Cristobal de Las Casas, nello stato del Chiapas, nel sud del Messico in un’area – il centro sportivo municipale – che può accogliere centomila persone. Alcuni gruppi di indios sono arrivati dal vicino Guatemala.
Un’accoglienza entusiasta è stata riservata a papa Francesco nel suo giro in papamobile tra gli oltre centomila fedeli presenti. La folla lo ha acclamato senza sosta – «Bienvenido papa Francisco!» – mentre lui dall’auto, accompagnato dal vescovo locale monsignor Felipe Arizmendi Esquivel con indosso un poncho colorato, dispensava saluti e benedizioni, fermandosi continuamente a baciare bambini che gli venivano avvicinati dagli uomini della sicurezza. «Benvenuto il Papa della pace! – ripetevano in coro i presenti insieme allo speaker – Benvenuto il Papa della giustizia! Benvenuto il Papa dei poveri!». «Viva il popolo maya», si è anche gridato.
Le popolazioni indigene vivono in estrema povertà, la maggior parte di esse non ha accesso all’acqua potabile e le loro terre hanno subito numerose confische da parte del governo centrale. Gli indios che vivono nei centri urbani sono spesso vittime del razzismo, faticano a trovare lavori dignitosi e spesso non hanno accesso ai servizi sanitari. Le loro tradizioni e la loro cultura non sono riconosciute, le loro lingue non sono studiate in alcuna scuola riconosciuta dallo Stato.
Nel novembre 1983 nacque l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) all’origine dell’insurrezione del 1° gennaio 1994, nel giorno dell’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement, il trattato di libero commercio fra Stati Uniti, Canada e Messico. Sette comuni del Chiapas vennero simbolicamente occupati per una notte e nella maggior parte dei casi questo avvenne disarmando l’esercito senza sparare un colpo. In alcuni centri abitati vi furono però degli scontri. Tra i centri assediati c’è San Cristobal de Las Casas, dove il «Subcomandante» Marcos, lesse la prima dichiarazione rivendicando i diritti per le popolazioni indigene. Il ritiro degli insorti avvenne dopo un giorno, ma l’Ezln ottenne una grande vittoria politica, ottenendo quella visibilità e quella risonanza mondiale che impedì ritorsioni violente da parte dell’esercito federale.
Nell’omelia, Papa Francesco ripete in lingua indigena «Li smantal Kajvaltike toj lek», «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima», le parole del salmo appena letto. E ricorda come il popolo d’Israele aveva ricevuto da Dio una legge che lo avrebbe aiutato «a vivere nella libertà alla quale era stato chiamato». Gli israeliti avevano sperimentato «la schiavitù e il dispotismo del Faraone, che aveva sperimentato la sofferenza e i maltrattamenti, finché Dio disse “basta!”, finché Dio disse: “non più!”».
Il Papa cita un testo indigeno, il Popol Vuh: «L’alba sopraggiunse sopra tutte le tribù riunite. La faccia della terra fu subito risanata dal sole». E aggiunge: «L’alba sopraggiunse per i popoli che più volte hanno camminato nelle diverse tenebre della storia. In questa espressione, c’è un anelito a vivere in libertà, un anelito che ha il sapore di terra promessa, dove l’oppressione, il maltrattamento e la degradazione non siano la moneta corrente. Nel cuore dell’uomo e nella memoria di molti dei nostri popoli è inscritto l’anelito a una terra, a un tempo in cui il disprezzo sia superato dalla fraternità, l’ingiustizia sia vinta dalla solidarietà e la violenza sia cancellata dalla pace».
Francesco afferma che «in molte forme e molti modi si è voluto far tacere e cancellare questo anelito, in molti modi hanno cercato di anestetizzarci l’anima, in molte forme hanno preteso di mandare in letargo e addormentare la vita dei nostri bambini e giovani con l’insinuazione che niente può cambiare o che sono sogni impossibili». Davanti a queste forme, spiega il Papa, «anche il creato sa alzare la sua voce: questa sorella», la terra, «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi».
Per Bergoglio non si può più far finta di niente di fronte a «una delle maggiori crisi ambientali della storia. In questo voi avete molto da insegnarci. I vostri popoli sanno relazionarsi armonicamente con la natura, che rispettano come fonte di nutrimento, casa comune e altare del condividere umano».
Eppure questa tradizione e questa cultura sono state quasi cancellate. «Molte volte, in modo sistematico e strutturale – continua Francesco – i vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società. Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura e le loro tradizioni. Altri, ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato, li hanno spogliati delle loro terre o hanno realizzato opere che le inquinavano».
«Che tristezza! – è il commento del Pontefice – Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a dire: perdono! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!», mentre i giovani, «esposti a una cultura che tenta di sopprimere tutte le ricchezze e le caratteristiche culturali inseguendo un mondo omogeneo, hanno bisogno che non si perda la saggezza dei loro anziani! Il mondo di oggi, preso dal pragmatismo, ha bisogno di reimparare il valore della gratuità!».
Un momento di forte intensità e commozione si è avuto durante la messa alla «supplica» dei fedeli pronunciata in lingua locale da un rappresentante indio con toni incalzanti e di profonda emozione, quasi piangendo, sui drammi subiti dalla propria gente. Durante la «supplica» i tanti indios presenti alla messa ascoltavano a capo chino, in ginocchio, con le mani sul viso o sul capo. Il Papa ha ascoltato, a sua volta, in assorto raccoglimento.
Il Salmo è stato cantato in lingua locale chol.
Al termine della messa un rappresentante delle comunità indigene ha ringraziato «jTatik Francisco»: «Grazie per averci fatto visita, nonostante molte persone ci disprezzino, tu hai voluto venire qui e ci hai preso in considerazione, come la Vergine di Guadalupe ha fatto con san Juan Dieguito».
«Portaci nel tuo cuore con la nostra cultura – ha continuato – con la nostre allegria e con le nostre sofferenze, con le ingiustizie che patiamo… Anche se vivi lontano a Roma, ti sentiamo molto vicino a noi. Continua a contagiarci con la gioia del Vangelo e continua ad aiutarci a custodire nostra sorella e madre terra, che Dio ci ha dato».
«Tante grazie – ha concluso – per aver nuovamente autorizzato l’incarico del diaconato permanente indigeno con la sua propria cultura, e per aver approvato l’uso delle nostre lingue nella liturgia».
In seguito il pontefice ha pranzato con i rappresentanti degli indigeni alla Curia vescovile di San Cristobal de Las Casas dove sono stati serviti pollo con funghi, riso, tortillas di mais, frutta, dolci regionali e caffè coltivato localmente. Prima che fosse preparato il pranzo, lo staff del Pontefice aveva fornito gli estremi della dieta che lui deve seguire. Le pietanze sono state preparate da una sorella del vescovo mons. Felipe Arizmendi Esquivel.
Il Papa si è quindi recato nella cattedrale di San Cristobal de Las Casas dove ha pregato sulla tomba del vescovo Samuel Ruiz García, morto nel 2011, un pastore che ha guidato la diocesi per 40 anni, considerato il fondatore della chiesa indigena del Chiapas.
Francesco, dopo aver salutato tante persone raccolte nella cattedrale, le ha invitate a «pregare per i nostri malati che portano un pezzo della croce di Gesù». «Preghiamo – ha detto – perché Gesù dia loro forza e li consoli e che la Vergine li custodisca». Quindi il saluto («E pregate per me, non siete molto convinti, eh?»). Poi, sempre applaudito dalla folla, il trasferimento in elicottero allo stadio di Tuxtla Gutiérrez per l’incontro con le famiglie.