A Montecitorio le mani che battono sanciscono la catarsi dei leghisti che volevano uscire dall’euro e allearsi con Putin e dei grillini che si opponevano al trattato di libero scambio Ue-Ucraina. Siamo tornati normali. Forse
Il Parlamento più putiniano d’Europa, quello che tra il 2018 e il 2020 aveva imposto la cretinocrazia di tutti gli estremismi antioccidentali degli ultimi 40 anni, ieri si è convertito. Emma Bonino osserva, e sorride. “Ipocriti”, dice. “Basterebbe ricordare le ventidue onorificenze a personalità del regime russo date dai governi di Lega e M5s in pochi anni per rendere l’idea di cosa è successo in Italia. Di quale pasta è fatto questo Parlamento”. Ma questo accadeva prima. Oggi è il giorno della purificazione, del lavacro. E ripulendosi, con quindici applausi e due lunghissime standing ovation a Volodymyr Zelensky, ecco che il Parlamento italiano si libera dell’ombra di Putin e si abbandona a un liberatorio calcio al dittatore impantanato e isolato. Applaude la Lega e applaude il M5s, assieme a FdI e al Pd. In fondo accade soltanto a ogni visita di Papa. Applaudono tutti. A scandire ogni sintomatico passaggio del discorso di Mario Draghi che risponde a Zelensky: la condanna della Russia, l’Italia che sostiene l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, la difesa della libertà. Ed è entusiasta il vicesegretario di Salvini, Lorenzo Fontana, come pure Edoardo Rixi, lui che era stato bandito dall’Ucraina poiché era andato in visita nella Crimea “annessa” da Putin. E allora tutto a Montecitorio dà la sensazione furbetta della patacca, pur nel riscatto della dignità di un attimo: l’applauso che fa tirare il fiato. Siamo tornati normali. Forse.