19 Settembre 2024

Fonte: Huffington Post


di Pietro Salvatori

Interpretazioni parallele. Per Draghi è nei provvedimenti del Governo. Partiti e sindacati si aspettano la concertazione

La formulazione in sé evoca suggestioni. Il “Patto per l’Italia” richiama alla mente la sala verde di Palazzo Chigi, le infinite riunioni con le parti sociali, trattative e strategie, conciliaboli, strappi e frenate. Domani Mario Draghi riceverà i leader sindacali, la vigilia è scoppiettante e carica di attese, i partiti affastellano sull’uscio del premier desiderata e richieste, cercano di piantare bandierine alla vigilia delle elezioni amministrative, gli industriali gongolano perché l’ex governatore della Bce ha lanciato la formula davanti a loro, hanno incassato un dividendo quantomeno comunicativo, il loro presidente Carlo Bonomi è quasi costretto a precisare davanti ai microfoni di In mezz’ora in più che “noi non siamo il partito di Draghi”.
La formula per l’impatto che ha avuto e gli appetiti e le aspettative che ha generato è forse sfuggita di mano alla comunicazione di Palazzo Chigi. Maurizio Landini chiede un cronoprogramma preciso, si aspetta che il premier “indichi un calendario per un confronto vero”. Ma nella mente del capo del Governo non ci sono estenuanti riunioni e confronti sulle quali limare le virgole di accordi, il Patto per l’Italia è nelle cose che farà il suo governo, nelle riforme previste dal Pnr ancora da varare, nei provvedimenti da assumere per rilanciare le imprese e il lavoro.
Così da Palazzo Chigi filtra acqua fredda per spegnere gli ardori che infiammano l’aria di fuori: domani si parlerà di sicurezza sul lavoro come previsto, non ci sarà spazio per allargare lo spettro della discussione, e la richiesta di Landini verrà presa in considerazione ma non riceverà una risposta puntuale. “Chi si aspettava non so quali liturgie rimarrà deluso”, spiega chi conosce bene il premier, “l’obiettivo è quello di far ripartire il sistema paese insieme e non contro i suoi principali attori, ma lo perseguirà con i fatti concreti, con l’azione di governo”.
Due rette parallele quelle di Landini e Draghi, almeno nel metodo. Il presidente del Consiglio ha messo nel mirino la riforma del fisco, ma soprattutto quella degli ammortizzatori sociali, con l’intenzione di inserirla nella manovra. Attorno a lui si muove la babele dei partiti. Appoggiati dalla Cgil, Partito democratico e Movimento 5 stelle hanno messo al primo posto della propria lista della spesa il salario minimo, misura che al momento non rientra nell’orizzonte degli interventi nella mente di Draghi. Dall’altra parte Matteo Salvini si batte per difendere quel che resta di quota 100, e attacca il Reddito di cittadinanza, annunciando che sarà primo firmatario di un emendamento per smantellarlo.
Le segreterie sono preoccupate, in affanno nel rilanciare le proprie misure di bandiera e impegnate a seminare di sé e di però il terreno, come testimonia il battere continuo di Giuseppe Conte sul fatto che “non si può fare un accordo con la sola Confindustria”. Il nervosismo nei confronti di Bonomi è condiviso. Anche Matteo Renzi in un’intervista a Repubblica è stato piuttosto brusco: “A gennaio chiedeva un nuovo governo di Conte, rispetti la politica”. Confindustria si percepisce in sintonia con il premier, il presidente dice che la risposta dei sindacati “è stata positiva”, assicura che non ha intenzione di fare un partito, gela sul salario minimo rilanciando la contrattazione collettiva.
Appetiti e rivendicazioni tra le quali Draghi dovrà destreggiarsi in uno slalom complicato, a iniziare da domani, quando i sindacati arriveranno a Palazzo Chigi con un carico di richieste sulle quali si aspettano risposte. Per il premier è la continuazione di un percorso già iniziato negli scorsi mesi e che proseguirà nei prossimi, attento ai suggerimenti di tutti, con la consapevolezza di non potersi permettere di essere condizionato da nessuno.

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