L’intervento dei due esponenti dem:«I radicali cambiamenti a Washington hanno reso necessario e urgente un sistema di difesa europeo, non sappiamo come integrato con la NATO»

Caro direttore, se è vero, come è certamente vero, che il nostro partito, il Pd, è unito attorno all’obiettivo «federalista» di dotare l’Europa di una vera difesa comune e, conseguentemente, di un’ autorità politica federale che la governi, l’ultima cosa che il partito può fare in questo momento è indebolire l’unico embrione di politica europea che esiste.
Ci riferiamo ai partiti politici europei e ai relativi gruppi al parlamento di Strasburgo, e quindi, per quanto ci riguarda, al partito e al gruppo parlamentare dei socialisti e democratici europei. Non è infatti pensabile far avanzare il progetto federalista europeo, e quindi la dimensione «comunitaria» dell’Unione, rispetto a quella «intergovernativa», e poi misconoscere il carattere impegnativo e vincolante, per tutte le delegazioni nazionali, della sintesi raggiunta collettivamente a livello europeo. È infatti solo a quel livello, a livello europeo, che può essere individuato il punto di equilibrio più avanzato, tra l’Europa necessaria e l’Europa possibile. Ogni fuga nazionale dalla comune responsabilità europea avrebbe come unico effetto quello non di accelerare e avvicinare, ma di ritardare e allontanare, la costruzione della difesa comune e della sovranità europea.
Il progetto federalista europeo nasce dalle ceneri dell’autodistruzione del vecchio continente, dilaniato e devastato dai nazionalismi, esplosi nella disumana furia distruttrice delle due guerre mondiali, entrambe nate come guerre civili europee. Il ripudio della guerra tra europei è quindi il fondamento essenziale del progetto europeo, che non a caso prende l’avvio dal tentativo di dar vita alla CED, la Comunità europea di difesa. Perché l’Europa non è nemica di nessuno, ma ciò non significa che non abbia nemici, allora come oggi. E che quindi possa permettersi di non organizzare un suo strumento militare. Ma il progetto della CED non andò in porto, per le resistenze nazionali, in Francia ma non solo, e la costruzione dell’Europa unita dovette imboccare un’altra strada, inevitabilmente più lunga e tortuosa, anche se comunque ricca di straordinari risultati.
Nel frattempo, la guida della difesa europea venne assunta dagli Stati Uniti, attraverso la NATO, alla quale i paesi europei aderiscono come singoli e non collettivamente. Per settant’anni, la politica estera e di difesa è rimasta quindi prerogativa degli Stati e dei governi nazionali, che hanno ceduto nei fatti la loro sovranità non a un’istituzione europea comune, ma all’unico vero federatore dell’Occidente, gli Stati Uniti d’America.
Proprio i radicali cambiamenti a Washington hanno reso nuovamente necessaria e urgente l’organizzazione di un sistema di difesa europeo, non sappiamo ancora in quale forma integrato con la NATO. Siamo dunque in una terra di nessuno, per attraversare la quale è indispensabile la chiarezza degli obiettivi, ma anche la flessibilità degli strumenti che vanno adattati alla concretezza della realtà. Il piano von der Leyen, opportunamente precisato e arricchito dal contributo collettivo dei socialisti e democratici europei, va dunque salutato come un passo importante nella direzione giusta.
Come è stato per il Next Generation EU, giustamente rivendicato come modello da tutto il Pd, che di quella stagione è stato protagonista essenziale. Anche allora, il NGEU non fu il punto di avvio, fu l’atto finale di un processo iniziato col SURE (un meccanismo di prestito agli Stati, sostanzialmente identico a quello oggi proposto per il ReArmEurope), proseguito con la sospensione del Patto di stabilità (esattamente ciò che è previsto ora dal ReArm EU), e concluso con il NGEU. È di palmare evidenza che il voto contrario al primo passo, avrebbe allora compromesso irrimediabilmente l’esito finale (emissione di debito comune sul merito di credito dell’intera unione), esattamente come avverrebbe oggi sul terreno ancor più decisivo della difesa comune. Perché se non si compie il primo passo, non si arriva al traguardo, ma ci si assume la responsabilità di una fuga dalla storia.

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