Perché Xi sembra incapace di interpretare i meccanismi delle nostre democrazie, al punto da ridurle a orrende caricature? L’Europa spera che le prove di disgelo funzionino, ma farà bene a prepararsi una polizza assicurativa
Sono in corso le prove di un disgelo tra America e Cina. L’Europa fa il tifo perché avvenga. Le delegazioni delle due superpotenze si sono incontrate per parlare di commercio, per la prima volta da quando l’incidente del pallone-spia aveva bloccato i contatti ad alto livello. Gli strateghi della politica estera di Washington e Pechino si sono parlati per otto ore a Vienna. Alcuni «falchi» della politica estera americana sono andati in pensione. Alla Casa Bianca c’è chi pensa che anche nella squadra di Xi Jinping stia prevalendo una corrente più morbida. Joe Biden capisce che una distensione con la Repubblica Popolare sarebbe un dono gradito agli europei, Germania e Francia in testa. Dopotutto, Bernard Arnault è diventato l’uomo più ricco del mondo perché le vendite di Lvmh sono esplose nella Cina post-Covid.
C’è il rischio che le speranze vadano deluse. I prudenti approcci tra americani e cinesi vanno confrontati con la spettacolare luna di miele fra Pechino e Mosca, con delegazioni ai massimi livelli che firmano accordi in ogni campo. Xi Jinping ha questa visione sull’Ucraina: può darsi che Putin abbia sbagliato tutto, può darsi che la Cina paghi dei prezzi per averlo appoggiato, però adesso Pechino deve impedire che la Russia venga sconfitta. Una disfatta militare di Putin renderebbe più credibile il dispositivo delle alleanze americane nel Pacifico, sarebbe un colpo alla Cina nella sua sfera geopolitica primordiale. Xi ha una teoria dell’accerchiamento che riecheggia quella di Putin: la «trappola ucraina» ordita dagli americani contro i russi sarebbe pronta a replicarsi in Asia contro i cinesi. L’idea di un Occidente dominato dall’America che trama per schiacciare la Repubblica Popolare è ormai dominante sui media del regime comunista. Noi occidentali, ancora intrisi di colonialismo e imperialismo, vorremmo ricacciare la Cina là dov’era a metà dell’Ottocento, quando ebbe inizio con le guerre dell’Oppio il suo «secolo delle umiliazioni». Se qualche lettore si sente un po’ stretto in questa descrizione della mentalità occidentale nel 2023, è in buona compagnia.
Noi dobbiamo superare una visione del mondo ancora troppo occidento-centrica, abbiamo lacune di conoscenza sulla Cina, e dobbiamo fare spazio alle sue aspirazioni legittime. Però è attuale una domanda inversa: quand’è che i dirigenti comunisti di Pechino hanno smesso di capirci? Perché Xi sembra incapace di interpretare i meccanismi delle nostre democrazie, al punto da ridurle a orrende caricature? La Cina di Deng Xiaoping uscì dal trentennio tragico del maoismo studiando con attenzione i modelli altrui: Giappone, America, Europa. Oggi Xi indottrina un miliardo e quattrocento milioni di persone perché abbiano un complesso di superiorità che è nemico della curiosità.
Il caso più recente è il pallone-spia. Come può Xi immaginare che Biden faccia ingoiare all’opinione pubblica il diritto di sorvolo dei cieli americani da parte dell’intelligence cinese? Idem per le bugie di Stato sul Covid e l’incapacità di Pechino di capirne l’impatto su di noi. L’elenco delle incomprensioni è ben più lungo e antico. Comincia dallo shock del 2008, la recessione che rafforzò in Occidente la disillusione sui benefici della globalizzazione. I dirigenti cinesi forse erano troppo intenti a celebrare il declino degli Stati Uniti; non capirono che quella crisi di consenso seminava i germi del protezionismo, avrebbe generato i dazi di Donald Trump. L’immagine della Cina tra le opinioni pubbliche occidentali è in costante peggioramento da allora. Col riflesso tipico di un autocrate, Xi attribuisce questo fenomeno alla nostra «mentalità da guerra fredda», pensa che i media occidentali prendano ordini dai governi per diffamare il suo Paese. Non si chiede quali danni abbiano inflitto all’immagine di Pechino decenni di concorrenza sleale in cui il «made in China» ha fatto fallire tante aziende nostrane, e distrutto occupazione. In una situazione simile, negli anni Ottanta l’allora dominante Giappone, essendo un Paese democratico, seppe «leggere» l’opinione pubblica americana, concesse a Ronald Reagan dei limiti alle esportazioni di auto nipponiche, investì in fabbriche sul suolo Usa per crearvi occupazione.
Rivolgendo lo sguardo all’Asia: Xi è stato incapace di prevedere l’effetto che la sua stretta repressiva contro Hong Kong avrebbe avuto sui cittadini di Taiwan, abituati alla libertà. Nell’ultimo G7 di Hiroshima ha intravisto il pericolo che si avveri il suo peggiore incubo, la nascita di una «Nato asiatica» imperniata sul Giappone. La stampa governativa di Pechino attribuisce questa evoluzione sempre allo stesso Impero del Male, l’America che aizza tutti gli alleati. Ma i cittadini giapponesi e sudcoreani non sono degli utili idioti manipolati dalla Cia. Da anni subiscono prepotenze cinesi in ogni campo, economico e militare. Hanno visto le manovre di strangolamento di Taiwan; e l’appoggio alla guerra di aggressione di Putin.
L’incapacità di Xi di capire come funzionano le nostre democrazie è l’altra faccia di un crescente sino-centrismo, non meno accecante di certe forme di occidento-centrismo. Una recente sessione dell’Accademia delle Scienze Sociali di Pechino è stata dedicata a dimostrare la superiorità del sistema politico della Cina, una «vera» democrazia a differenza della nostra, scassata, litigiosa, incapace di produrre risultati. È un’opinione legittima. Il pericolo è che spenga ogni volontà di comprendere come funzionano i nostri pur difettosi sistemi.
Il centenario Henry Kissinger si augura che America e Cina riescano a parlarsi per stabilire delle regole del gioco tra rivali, così da prevenire lo scivolamento verso una guerra. L’Europa spera che le prove di disgelo funzionino, ma farà bene a prepararsi una polizza assicurativa. Sapere che tutta la transizione europea verso la sostenibilità (batterie elettriche, pannelli solari e pale eoliche, materiali rari per le tecnologie verdi) dipende dalla Cina, e pensare di non pagarne alcun prezzo, è un’ingenuità che non ci possiamo più permettere.