Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Pessimisti e ottimisti cadono per lo più nello stesso errore: ragionano in termini di bianco e nero, non vedono le tante tonalità di grigio intermedie
Nei diversi Paesi occidentali i pessimisti e gli ottimisti incrociano le lame. I pessimisti pensano che stia accadendo l’impensabile: la democrazia liberale, trionfante e apparentemente senza più seri rivali dopo la fine dell’Urss, è oggi a rischio. Le ragioni sono molte e concomitanti: indebolimento dei legami interatlantici, crisi dell’Unione europea, pressioni delle potenze autoritarie, impoverimento dei ceti medi, rigetto culturale a fronte delle migrazioni, perdita di forza dei tradizionali intermediari (come i partiti) per l’impatto della rivoluzione digitale sulla comunicazione politica e sui rapporti fra elettori e governi. E, come conseguenza di tutto ciò, crescenti successi di forze illiberali. In più di un Paese occidentale, secondo i pessimisti, la democrazia liberale, prima o poi, potrebbe lasciare il passo a regimi ibridi o misti, ossia a qualche variante della democrazia illiberale. Per giunta, infieriscono i pessimisti, poiché i regimi ibridi sono instabili, la democrazia illiberale potrebbe rivelarsi solo una breve sosta davanti alla soglia dell’inferno, prima dell’avvento di regimi pienamente autoritari. Gli ottimisti ribattono che una cosa è riconoscere l’esistenza di condizioni critiche e tutt’altra cosa è dare per spacciate le democrazie occidentali.
Le democrazie occidentali hanno comunque risorse (culturali e istituzionali) che nessun altro regime politico, qui sulla Terra, possiede. Chi pensa che un nuovo autoritarismo sia alle porte — sostengono gli ottimisti — non si avvede del fatto che l’autoritarismo non sia riuscito a proporsi come una convincente alternativa, che i regimi autoritari esistenti inanellino insuccessi: si pensi ai fallimenti economici della Russia o della Turchia o ai gravi problemi interni che i dirigenti della Cina, nonostante il potere di cui dispongono, non riescono a mettere sotto controllo. Se si osservano i fatti con obiettività — dicono gli ottimisti — non c’è da disperare troppo sul futuro delle democrazie occidentali. Pessimisti e ottimisti, però, cadono per lo più nello stesso errore: ragionano in termini di bianco e nero, non vedono le tante tonalità di grigio intermedie. Ad esempio, non è che la democrazia possa essere solo liberale o illiberale. Ci sono molte possibili gradazioni.
Prendiamo il caso italiano. L’Italia, dopo la Seconda guerra mondiale, è stata mai davvero una compiuta democrazia liberale? Durante la Guerra fredda era l’appartenenza al blocco occidentale, antisovietico, che consentiva a molti di definirla tale passando sotto silenzio le sue tante anomalie. La Costituzione venne disegnata da partiti (democristiani, comunisti, socialisti) che, all’epoca, complessivamente, liberali non erano. È vero che nel caso della Dc pesava l’imprinting del cattolicesimo liberale degasperiano ma in quel partito c’erano anche componenti rilevanti di tutt’altra natura ideologica. La Costituzione che venne varata era una Costituzione a doppio uso: sarebbe comunque servita ai vincitori, appartenessero essi, come avvenne, al campo occidentale oppure a quello sovietico.
Per tutta l’epoca della Guerra fredda l’Italia venne plasmata e dominata dai partiti in tutti gli aspetti della sua vita civile. A cominciare da un’economia che solo con molta fantasia si sarebbe potuta definire di mercato. L’eufemismo allora usato era «economia mista»: per dire un’economia dominata dallo Stato (e quindi, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, dai partiti che avevano in pugno lo Stato). I partiti controllavano le magistrature, tenevano in riga tutte le istituzioni (presidenza della Repubblica inclusa). Si pensi anche a quanto fossero estese le reti clientelari in capo ai partiti. In tutte le democrazie ci sono rapporti clientelari che pesano in sede elettorale ma il problema è sempre di grado e di misura. Si aggiunga un’amministrazione pubblica che, nonostante le guarentigie costituzionali, considerava gli italiani ancora sudditi, e uno «Stato di diritto» che, per tradizione, aveva poco a che fare con la liberale rule of law.
Poi, con la fine della Guerra fredda, si è passati da un estremo all’altro. Dal predominio dei partiti a quello delle tecno-burocrazie, amministrative e giudiziarie. La democrazia liberale necessita di un equilibrio delle forze. Ma in Italia a uno squilibrio seguì un altro squilibrio. La perdita di forza dei partiti coincise con la perdita di forza della politica rappresentativa. Le burocrazie amministrative e giudiziarie occuparono gli spazi lasciati liberi dagli antichi partiti. Ma poiché c’erano e ci sono comunque elezioni e Parlamenti si può dire che la storia della Repubblica dopo la Guerra fredda sia stata scandita dai duelli fra leader politici rappresentativi impegnati nel tentativo di riprendere il pieno controllo del Paese e tecno-burocrazie tese ad impedire che quel tentativo avesse successo.
Naturalmente, poiché è sempre una questione di gradi, gli aspetti illiberali sopra ricordati si sono sposati con il mantenimento di una sfera di diritti di libertà personale passabilmente rispettati (ma non per gli innocenti che incappano nella giustizia penale o per coloro che subiscono angherie dall’amministrazione) dei cittadini comuni. Quest’ultima circostanza basta da sola a fare apprezzare, nonostante le magagne, nonostante il suo essere una democrazia liberale a mezzo servizio, la storia repubblicana. Tutto questo per dire che le democrazie occidentali non sono uguali. Alcune, come la nostra, con un pedigree incerto, corrono rischi maggiori. Se ci sarà, qui da noi, una stabilizzazione dei populismi di governo e se si realizzerà una saldatura fra le tecno-burocrazie (in quelle amministrative, ai livelli dirigenziali, la colonizzazione politico-partitica è già in atto) e quei populismi, allora sarà difficile evitare esiti francamente illiberali. Tanto più se crescerà l’influenza politica di russi e cinesi. Il panorama è complesso e gli esiti possibili, nei vari Paesi, sono molti. Diffidiamo del panglossismo degli ottimisti. Ma evitiamo anche di prendere per oro colato le profezie dei pessimisti.