19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Angelo Panebianco

Nel giro di poco tempo capiremo se la vecchia abitudine del Pci di sentirsi moralmente superiore è ancora lì e continua a dispiegare anche oggi i suoi effetti


Nel giro di poco tempo capiremo se l’Italia politica è ancora inchiodata ai tic e alle manie del XX secolo oppure se qualcosa di decisivo è cambiato. In particolare, capiremo se è ormai definitivamente dispersa l’eredità di quello che fu il partito comunista oppure se parte di quella eredità continua a dispiegare anche oggi i suoi effetti.
La capacità di durata e la forza dell’allora partito comunista, nonostante l’esclusione dall’area di governo, dipendevano dal fatto che esso era riuscito a convincere una larga fetta di italiani della propria superiorità morale rispetto ai (per definizione corrotti) partiti di governo. In sinergia con i miti del comunismo internazionale di cui il Pci era il rappresentante autorizzato in Italia, quella presunzione di superiorità non soltanto attraeva gli intellettuali ed esercitava un grande fascino sui giovani. Era persino in grado di intimidire e imbarazzare molti anticomunisti. La regolare sottorappresentazione nei sondaggi del partito di maggioranza (la Dc) dimostrava che certi elettori di quel partito si vergognavano di dichiararsi tali: persino molti suoi nemici erano condizionati dalla diffusa credenza nella superiorità morale del partito comunista.
C’erano allora due sicure prove della forza del Pci. La prima riguardava le sue indubbie capacità alchemiche. Come gli alchimisti medievali che si dedicavano alla trasmutazione dei metalli, il Pci trasformava in metallo prezioso, agli occhi dei suoi seguaci, ciò che toccava.
Un avversario del Pci era, per definizione, un bieco reazionario ma, se anche solo per ragioni tattiche, si avvicinava al Pci, diventava immediatamente un rispettabile esponente delle Forze del Progresso. Sia chiaro: in politica tutti cercano di far passare per fetentoni gli avversari e per angioletti gli alleati ma ciò che colpiva era l’indiscutibile successo del Pci nel convincere così tanti italiani della propria capacità di trasmutare qualunque vil metallo in oro zecchino.
La seconda prova riguardava la sua capacità di fare il vuoto intorno a chiunque se ne andasse dal partito pretendendo ancora di essere una «persona di sinistra». Quell’abbandono era una sfida al controllo monopolistico esercitato dal Pci sulla sinistra italiana. Per questo chi se ne andava era un «socialtraditore», un infame venduto alle forze reazionarie. Anche in questo caso il Pci mostrava sempre la sua forza, riusciva a fare il vuoto intorno al socialtraditore di turno. I suoi anatemi avevano sempre successo. Nessuno o quasi dei suoi elettori era disposto a seguire politicamente il reprobo. Pensate quanto disprezzo era associato, in tanti rispettabili salotti di sinistra, alla parola «socialdemocratico». A nessuno capitava di riflettere sul fatto che se la scissione di Palazzo Barberini da cui nacque, nel 1947, il partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat avesse ottenuto un successo elettorale assai più forte di quello che ottenne, la storia della sinistra sarebbe stata molto diversa e, con essa, la storia della Repubblica.
Abbiamo oggi l’occasione per capire se quelle antiche virtù del partito comunista si siano trasferite sui suoi eredi. Apparentemente sì. Per lo meno, sembra che l’erede, il Pd, padroneggi ancora i segreti dell’alchimia. Pensate alla stupefacente trasformazione dei 5 Stelle: erano il peggio del peggio quando stavano con Salvini, sono diventati ora rispettabili (al punto che certi dirigenti del Pd immaginano, per il futuro, una fusione fra i due gruppi). Un passaggio fulmineo dalla condizione di «intoccabili» a quella di brahmani, un’ascesa sociale precipitosa e strepitosa. Il tutto grazie alla rottura con la Lega e l’alleanza con il Pd. Certo, nella metamorfosi (dell’immagine) dei 5 Stelle hanno giocato anche le pressioni internazionali, ossia il fatto che chi più conta in Europa preferisce questo governo al precedente. Ma di sicuro nel risultato, nella repentina trasmutazione del metallo grillino, pesano anche le indubbie capacità lasciate in eredità al Pd dal vecchio alchimista. C’è un però. Ai tempi del Pci era certo che la trasmutazione del metallo avvenisse per maggior gloria del Pci stesso. Oggi non è così scontato che il Pd possa fagocitare i 5 Stelle (o che possa, per lo meno, riprendersi i voti ceduti ai grillini). È possibile che avvenga il contrario, ossia che sia il Pd ad essere fagocitato. Nonostante tutte le loro fragilità i 5 Stelle possiedono comunque una identità forte (perché coerente con gli orientamenti di molti italiani). L’ideologia anticasta è figlia di una antica propensione anti-istituzionale (e illiberale) assai diffusa («piove governo ladro»). Il loro coltivato pauperismo, l’ostilità al mercato e l’iper-statalismo sono altrettante facce di una sindrome populista che ha grande presa su tanti elettori, e che, almeno in linea di principio, ha la forza di sconfiggere l’opposto partito del Pil, della crescita economica, della razionalità finanziaria. In sintonia peraltro con le propensioni di certe parti del mondo cattolico. Ancora, il loro disprezzo ostentato per le competenze è coerente con le esigenze di un pubblico (in costante crescita) che esce, impreparato e ignorante, da certe scuole. Il loro giustizialismo infine, si sposa a meraviglia con le esigenze di quella Repubblica giudiziaria sbocciata ai tempi di Mani pulite e tutt’ora imperante. Per dire che i 5 Stelle, checché se ne creda, dispongono di un’identità forte. Il Pd invece, dal punto di vista identitario, non è carne né pesce. È probabile che una parte della base del Pd si senta attratta dai 5 Stelle. È meno probabile il contrario.
C’è anche un secondo banco di prova. Matteo Renzi farà la fine che fu dei «socialtraditori» di un tempo? Peraltro, Renzi o non Renzi, una manovra neo-centrista che mettesse insieme fuoriusciti dal Pd e da Forza Italia avrebbe successo solo se riuscisse ad attirare elettori sia da sinistra (dal Pd) che da destra. Una tale manovra sarebbe facilmente screditabile oppure, a differenza di ciò che accadde, ad esempio, con Bettino Craxi, il tentativo di provocare l’indignazione dei benpensanti di sinistra questa volta fallirebbe? Forse il futuro dell’alleanza Pd/5 Stelle e il futuro dei fuoriusciti dal Pd ci diranno se, da questo particolare punto di vista, il XX secolo sia davvero finito.

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