Fonte: Corriere della Sera
di Andrea Ducci e Lorenzo Salvia
Il premier punta a un nuovo scostamento di bilancio, ma serve l’ok del Parlamento. Il M5S vuole prolungare gli ammortizzatori, mentre il Pd è per gli incentivi
Un anno difficilissimo. A causarlo oltre all’emergenza sanitaria è l’allarme sui dati dell’economia. Un contesto che spinge il premier Giuseppe Conte a predisporre rapidamente un piano di medio termine per sostenere il tessuto produttivo del Paese. La chiusura degli Stati Generali porta un corredo di progetti e di riforme che dovranno essere tradotti e resi operativi, con un piano che nasce anche dalla scrematura di «circa 187 tra mission e singoli progetti. Li abbiamo studiati con i ministri e già condivisi con i gruppi parlamentari di maggioranza che sostengono questo governo», ha specificato più volte il premier. L’impianto del progetto prevede, per esempio, una spinta per la definitiva transizione energetica ed ecologica, una serie di misure per la digitalizzazione dei servizi e un programma di interventi nel settore delle infrastrutture.
Ma il vero ostacolo per il premier risiede nell’urgenza di mettere mano nei prossimi giorni all’assestamento di bilancio, un’operazione necessaria per consentire all’esecutivo di dettagliare un’ulteriore richiesta di deficit al Parlamento. Sarebbe la terza volta in pochi mesi con la giustificazione che bisogna fare fronte ai costi crescenti della pandemia. Tra le voci da finanziare in deficit figura la cassa integrazione e l’ipotesi di allungare la scadenza fino al termine dell’anno del pacchetto di ammortizzatori a tutela dei lavoratori, compreso il blocco dei licenziamenti. Con il passare dei giorni all’interno della maggioranza sono però maturate sensibilità e orientamenti diversi, con tanto di frizioni crescenti. Il M5S è dell’avviso di prorogare la cassa integrazione e impedire che le aziende licenzino, mentre il Pd è arrivato alla conclusione che continuare a ingessare il sistema produttivo sia dannoso e soffocante per il tessuto industriale del Paese. Le risorse delle cassa integrazione potrebbero, secondo lo schema alternativo a quello del M5S, essere così destinate agli incentivi alle aziende per assumere. Ai licenziamenti farebbero cioè da contraltare le assunzioni delle imprese che si rimettono in moto e investono.
Una «grana» che Conte deve risolvere in pochi giorni. Certo è che al termine del braccio di ferro servirà comunque uno scostamento di bilancio, con un maggiore disavanzo che andrà ad appesantire ulteriormente il debito ormai avviato verso il 160% del Pil. C’è poi il tema della pressione fiscale, tutte o quasi le categorie convocate a Villa Doria Pamphilj hanno chiesto, secondo i casi, un intervento che alleggerisca il peso delle tasse, tagli il cuneo fiscale, introduca sgravi fiscali sugli affitti. Tutti richiami che tentano Conte, ne intuisce gli effetti sia in termini di consenso sia in termini economici, al punto da indurre il premier a dire che un abbassamento dell’Iva «potrebbe dare una spinta alla ripresa dei consumi: è un fatto di fiducia».
Una fuga in avanti in parte corretta dalle parole pronunciate al termine degli Stati Generali. «Non abbiamo deciso. Anche perché è una misura costosa». Resta che l’imposta sul valore aggiunto non aumenterà e il governo alla prossima legge di Bilancio sarà dispensato dal trovare le risorse per disinnescare le clausole di salvaguardia, così come previsto dal decreto Rilancio. Sul fronte della modernizzazione del Paese Conte si riserva alcune leve come l’incentivazione ai pagamenti digitali per combattere il sommerso e confida nel varo del decreto Semplificazione. Che prevede interventi ordinamentali sulle procedure, la revisione di abuso d’ ufficio e responsabilità erariale, l’ estensione di alcune deroghe al Codice appalti.