23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

referendum_trivelle

di Antonio Polito

Il tentativo di politicizzare la consultazione e di trasformarla nel debutto di una Alleanza contro Renzi di tutte le opposizioni, esterne e interne, non ha funzionato

Le trivelle in alto mare non sono come l’acqua che esce dai rubinetti. Non provocano le stesse angosce sul nostro futuro e sulla nostra salute. Per quanto i politici tentino sempre di sfruttarne le paure, il corpo elettorale ha una sua pachidermica saggezza, e si muove solo per cause che ne valgano la pena. Così, a sorpresa, cinque anni fa rivitalizzò lo strumento referendario raggiungendo il quorum in difesa dell’acqua pubblica. Stavolta invece la materia delle trivellazioni in mare è apparsa ai più troppo complessa tecnicamente e forse troppo pericolosa economicamente per un Paese che ha fame di energia.

Bisogna anche aggiungere che il movimento referendario aveva già ottenuto buona parte della sue richieste, spingendo il governo ad accettarle per via legislativa, e che era rimasto sulla scheda solo un quesito di minor portata e valore. Il che, se da un lato conferma l’esistenza di una forte sensibilità ambientalista nel Paese, e anche di una combattività su questo tema delle Regioni (nove delle quali avevano promosso la consultazione), dall’altro lato rendeva ancora meno importante e convincente la battaglia referendaria residua.

Allo stesso tempo, il tentativo di politicizzare il referendum, e di trasformarlo nel debutto di una Alleanza contro Renzi di tutte le opposizioni, esterne e interne, da Emiliano a Salvini, da Brunetta a Di Maio, non ha funzionato. È probabile che una parte dell’affluenza al voto, un po’ superiore che in altri casi di quorum mancati, venga proprio di lì, da una motivazione politica più che di merito. Ed è plausibile che Renzi stesso l’abbia favorita, eccitando i suoi avversari con un appello all’astensione che forse ne ha portato qualcuno di più alle urne. Ma il conto finale è chiaro: l’operazione «spallata al governo» è fallita. Nemmeno lo scandalo lucano, che pure odora di petrolio e di mare, ha smosso più di tanto le acque.

Eppure il referendum di ieri era solo la prima tappa del tour elettorale che aspetta il premier da qui a ottobre. Adesso arrivano le comunali, il terreno più difficile per Renzi perché più che su di lui si vota sui candidati di un Pd debole nelle città, e l’appello «o me o il caos» è molto meno efficace. Ma poi, dopo le Amministrative, la madre di tutte le battaglie: il referendum confermativo della riforma costituzionale, al cui successo Renzi ha legato la sua carriera politica.

Si tratterà, come è ovvio, di una prova politicamente molto diversa da quella sulle trivelle. Ma alcune indicazioni del voto di ieri dovranno essere attentamente considerate dal premier. Si può infatti supporre che nell’affluenza di ieri si annidi un nocciolo duro, numericamente tutt’altro che disprezzabile, di opposizione al governo. E se stavolta Renzi ha potuto agevolmente scavalcarlo facendo leva sulla «maggioranza silenziosa» di chi non è andato a votare, a ottobre, quando non sarà richiesto il quorum, dovrà invece mobilitare quella maggioranza e farla parlare, portarla alle urne, se vorrà vincere. Un’affluenza bassa come quella di ieri sarebbe infatti l’humus perfetto per un successo dei No, perché a votare ci vanno sempre i più motivati.
Però è anche vero che abrogare il Senato elettivo può risultare più popolare che abrogare le trivelle in alto mare. E in ogni caso il premier, prima di un voto importante, si tiene sempre nella manica un asso fiscale da giocare, proprio come fece alle Europee del 2014.

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