20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Mauto Bottarelli

Natale è arrivato in anticipo per l’Eurozona e a vestire l’abito rosso di Santa Claus ci ha pensato la Bce. Il 12 novembre, infatti, l’Eurotower – nel disinteresse pressoché totale – ha reso infatti noti i dati relativi alla prima settimana di acquisti in seno al nuovo programma di Qe, varato da Mario Draghi prima del suo addio.
Stando alle cronache, mai smentite, l’occasione perfetta per la Bundesbank e i suoi alleati per lanciare strali contro Christine Lagarde, cominciando il suo lento logoramento da più parti preventivato. Così non è stato. E per una ragione tanto semplice quanto rivelatrice della gravità della situazione: su un controvalore di acquisti che è stato al di sotto dei 5 miliardi relativo alla prima settimana di novembre, la Bce ha infatti impiegato 2,8 miliardi di euro per acquistare obbligazioni corporate.
E in effetti, relativamente al programma di acquisto di bond aziendali (Pspp), quello appena compiuto dall’Eurotower rappresenta il decimo controvalore in assoluto dal 2016. Insomma, un esordio con il botto. Anche perché il consensus generale, al netto dei 20 miliardi di acquisti mensili stabiliti per la prima fase, vedeva la componente corporate pesare per meno del 15%, ovvero circa 3 miliardi al mese. Cifra che è stata quasi raggiunta solo nella prima settimana di acquisti. Insomma, niente sostegno diretto agli spread sovrani dei Paesi più indebitati ma, anzi, un aiuto alle aziende del Nord Europa, soprattutto, fra i beneficiari, infatti, compaiono Autoroute du Sud de la France, Aéroports de Paris, Unibail Rodamco ed Engie ou de Dassault Systèmes, le cui obbligazioni sono state tutte acquistate sul mercato secondario.
Ma, a differenza di quanto avviene con il debito sovrano, la Bce sul mercato corporate può intervenire anche sul primario. Ovvero, in fase di emissione. Il 4 novembre scorso, ad esempio, la Bce – stando a calcoli di Craig Rumbelow della M&G Investments – l’Eurotower avrebbe acquistato il 25% (circa 750 milioni di euro di controvalore) dell’ultima emissione di Shell e il 13% di quella di Daimler, quest’ultima per un controvalore di 535 milioni di euro.
Insomma, francesi, tedeschi e olandesi i grandi beneficiari del primo round: solo un caso che proprio queste tre nazioni fossero fra le più critiche verso la mossa, ritenuta unilaterale e di fatto quasi oltraggiosa del mandato Bce, dell’uscente Mario Draghi?
C’è però un problema insito in una strategia simile, in caso non si trattasse di una mossa una tantum più politica che strutturale: “Se la Bce continuasse a comprare bond corporate in proporzioni così significative, si potrebbe sostanziare un effetto di sostituzione/eliminazione degli investitori dal mercato primario“,  sottolinea Rumbelow.
E attenzione, perché questo grafico ci mostra come l’eurozona sia diventata l’El Dorado per le emissioni obbligazonarie, visto che ad oggi siamo a un +27% rispetto ai primi 11 mesi del 2018.
E mette in evidenza come anche molte aziende non europee abbiano scelto l’eurozona per ragioni meramente di risparmio legate ai bassi costi di finanziamento in euro: i cosiddetti reverse yankees, ovvero investitori statunitensi in trasferta da carry trade obbligazionario capitanati da Apple ma anche asiatici, come nientemeno che la Repubblica cinese in qualità di emittente sovrano.
Insomma, un mercato di dimensioni tali da non potersi permettere distorsioni del livello di quelle poste in essere dalla Bce nella sua prima settimana di operatività: a meno che, al di là del voler ammansire la fronda interna, madame Lagarde non sappia qualcosa che noi comuni mortali ignoriamo.
Qualcosa di talmente grave da richiedere un intervento di quella magnitudo su due nuove emissioni obbligazionarie, operando sul mercato primario con il badile.
Ma a nessuno sarà sfuggito come, proprio nel giorno in cui l’Eurotower rendeva noti i primi dati, Piazza Affari svettasse come migliore d’Europa, trainata dal comparto bancario. Il tutto, nonostante lo spread cominciasse a rialzare timidamente la testa e la vicenda Ilva non lasciasse certo presagire scenari rosei per l’economia reale del Belpaese. Come mai gli istituti di credito italiani, ancora stracarichi di Btp, schizzavano in alto? Sempre grazie alla Bce e, probabilmente, al fatto che qualcuno conoscesse in anticipo i risultati della prima settimana di operatività di un altro dei pilastri del nuovo intervento designato da Mario Draghi: il tiering, ovvero il sistema di esenzioni posto in essere per mitigare gli effetti più dannosi dei tassi negativi per il sistema bancario, in questo caso tedesco e francese su tutti. E chi ha beneficiato maggiormente della mossa? Proprio le banche italiane, come mostra questo grafico, il quale mette in prospettiva il deflusso di capitale dal Nord Europa verso l’Italia, dove si trasforma in extra depositi per i nostri istituti.
Parla chiaro il dato di Bankitalia: a ottobre, le banche italiane hanno visto crescere i propri depositi presso la Bce di 37 miliardi di euro a 137,8 miliardi, dinamica che ha portato come conseguenza un calo record delle liabilities del nostro Paese verso il resto dell’area euro, -48 miliardi di euro rispetto al mese precedente. Ovvero, in seno a Target2.
La Germania, per una volta, non può lamentarsi. Anzi, i suoi net claims verso il sistema di pagamento europeo sono calati dell’8,5% sempre a ottobre, sintomo che gli investitori stanno muovendo depositi al di fuori dei suoi confini in favore di altre nazioni. Quando a fine settembre i tassi sui depositi sono calati ulteriormente in negativo, andando a colpire la profittabilità bancaria di Germania e Francia, la Bce ha infatti pensato a un sistema di esenzione su una porzione dei depositi, la cui soglia è stata fissata a sei volte le riserve minime richieste della banca in questione. Ed ecco che gli istituti normalmente giubilati come quelli italiani, i quali non eccedono quella soglia, possono quindi raccogliere denaro da entità estere e depositarlo a costo zero presso la Bce, evitando quella tassazione che va comunque frazionalmente a colpire sistemi più “virtuosi” come quello tedesco.
“Nel primo giorno di operatività del sistema two-tier, abbiamo osservato una considerevole redistribuzione della liquidità in eccesso, spesso da Paesi con liquidità abbondante come Belgio, Germania e Olanda verso nazioni con indennità inutilizzate rispetto al nuovo sistema, come l’Italia”, ha dichiarato Benoit Coeure, membro esecutivo del board della Bce.
Insomma, un arbitraggio decisamente conveniente per la nostre banche. Le quali, infatti, il 12 novembre hanno conosciuto una giornata di assoluto e generalizzato spolvero a Piazza Affari, senza alcuna apparente ragione contingente. Se non, ancora una volta, la mano ben visibile di Mario Draghi. E se, come nel caso degli acquisti obbligazionari corporate, questa dinamica non fosse limitata all’esordio ma divenisse strutturale, non c’è il rischio che un continuo flusso di depositi faciliti pressioni ribassiste sui tassi di mercato a breve termine?
“Se scorgessimo segnali che il tiering stesse influenzando quei tassi, minando potenzialmente lo stimolo monetario, potremmo cambiare il livello delle esenzioni”, ha fatto sapere la Bce a Les Echos. Per ora, quadratura perfetta del cerchio. La domanda da porsi, però, è altra, al netto dei rischi distorsivi ben più che meramente potenziali: per quanto tempo il gioco del sostegno Bce al mercato obligazionario varrà la candela per il sistema bancario tedesco? Tradotto, quanto sta soffrendo davvero l’industria teutonica, se le banche della Merkel non appaiono più la priorità immediata? Forse, alla luce di questa prima settimana di Qe e delle sua dinamiche, occorrerà rileggere sotto altra luce la proposta di accelerazione dell’unione bancaria europea avanzata dal ministro delle Finanze tedesco.

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