22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Massimo Giannini

In Olanda, in Francia, in Germania e anche in Italia (che si voti a giugno o nel 2018). Dall’Europa che verrà dipenderanno le vite di noi cittadini che la abitiamo. La crescita e il lavoro, il welfare e le tasse. Ma nel Paese, al di là delle schermaglie tattiche e delle sparate strumentali, manca la percezione della posta in gioco.
Il Fronte Popolare anti-sistema ha un programma drammaticamente chiaro. Truppe grilliste e destre “sovraniste” gridano sì alle piccole patrie, no alla moneta unica. Come Grillo e Salvini, ora anche Marine Le Pen infiamma il suo “popolo” evocando Trump, e propone una pericolosa saldatura culturale tra la deriva nazionalista europea e la pretesa anti-globalista americana. Cosa rispondono le forze progressiste e riformiste? Poche idee, molto confuse.
Angela Merkel ha finalmente capito che l’attendismo non è una politica. La proposta di un’Europa “a due velocità” apre uno scenario inedito, ma tutt’altro che irrealistico. Le due velocità esistono da sempre, nei fatti e nei numeri. Dai tempi di Maastricht (febbraio 1992) l’Europa del Nord, trainata dalla Germania, viagga in business class, mentre l’Europa del Sud, il famoso Club Med, viaggia low-cost.
Il modello esplicitato dalla Cancelliera di ferro rende strutturale questa differenza. L’Europa va avanti con le geometrie variabili, con chi ci sta e soprattutto con chi ce la fa. E qui si apre la grande questione, che ci riguarda più da vicino. L’entusiasmo con il quale il premier Gentiloni è salito sul carro della Merkel è comprensibile. L’Italia, Paese fondatore, vuole restare nel gruppo di testa.
Ma la proposta della Cancelliera implica un cambio di passo politico, istituzionale ed economico, che l’Italia in questo momento non sembra in grado di garantire. Veniamo da due anni di scontro permanente con la Commissione di Bruxelles, abbiamo beneficiato di 19 miliardi di flessibilità, abbiamo appena sforato i vincoli di deficit per 3,4 miliardi e tuttora pende su di noi il rischio di una procedura di infrazione. Abbiamo una crescita allo 0,8% (quattro volte meno della media Ue), e un debito al 134% del Pil (due volte il parametro dei Trattati). Abbiamo una produttività cresciuta del 4% dal 2000 ad oggi (contro il 19,2% della Germania e il 25,2% della Francia). Nelle condizioni date, l’Italia non sta nel blocco dei paesi che corrono, ma nel gruppone di quelli che arrancano. A meno che non sia pronta ad assumere impegni ancora più stringenti. Siamo pronti a farlo, o anche solo a discuterne?
Grillo e Salvini, i pifferai magici che ascoltano l’eco di Trump, sanno che musica suonare, e come farsi seguire da cittadini-elettori esausti da un ventennio di sacrifici e di austerità. Sfasciamo questa Europa, torniamo alla liretta, che metteva al riparo le famiglie a suon di aste dei Bot e le imprese a colpi di svalutazioni competitive. I partiti “responsabili”, di fronte a questa bolla narrativa, che altro “racconto” sanno proporre? L’unione monetaria, da sola, è pericolosamente “zoppa” (come diceva Ciampi). Il Patto di stabilità, fatto solo di vincoli numerici, è maledettamente stupido (come diceva Prodi).
Ma c’è qualcuno, a partire dal Pd, che spiega perché l’euro va comunque difeso, visto che all’Italietta dell’inflazione e dei tassi di interesse a due cifre è servito come il pane? C’è qualcuno che racconta come e perché, invece di fare l’Europa a due velocità, è indispensabile riscrivere i Trattati, e prevedere che il tetto del deficit va portato a quota zero per la parte corrente, lasciando il 3% per finanziare la sola spesa per investimenti? Trump introduce i dazi per difendere l’occupazione: qual è il modello europeo, a parte i mini-jobs tedeschi o i voucher italiani? Trump smonta la riforma sanitaria di Obama: qual è il modello europeo, oltre ai tagli lineari al Welfare?
Domande senza risposta. Implicherebbero una “visione”, che al momento le classi dirigenti di questo Paese (non solo l’establishment politico, ma anche quello imprenditoriale) non sembrano avere. Le domina la confusione e la paura. Noi e l’Europa, noi e l’euro. Questa sarà la “faglia” che attraverserà il prossimo voto. Bisognerà trovare risposte serie e credibili. Anche a chi, come il ministro tedesco Schaeuble, lancia l’attacco frontale a Mario Draghi, contestando la politica monetaria “troppo accomodante” della Bce, che non fa più l’interesse della Germania.
Una linea che stringe un Paese come il nostro in una morsa. Che succederebbe al nostro debito pubblico, alle nostre banche e ai nostri portafogli se la Bce rialzasse i tassi di interesse, o chiudesse anzitempo i rubinetti del “Quantitative easing”? Sarebbe un passo verso l’abisso. Ma servirebbe qualcuno che spiegasse a Schaeuble che senza l’ombrello di Draghi il tasso di crescita nell’eurozona tra il 2011 e il 2016 sarebbe stato inferiore del 5,6% (con un — 10,4 in Germania, — 7,4 in Italia, — 5,9 in Francia). Il totale degli occupati sarebbe stato inferiore di 6,6 milioni di persone (mentre i disoccupati sarebbero stati 5,6 milioni in più). E il debito pubblico sarebbe stato pari a 10.572 miliardi (quasi 1.000 miliardi in più di quello attuale).
Di tutto questo, nel Belpaese, non si parla. Siamo fermi alla post-verità di Renzi e alle fake- news della Raggi. Un tempo eravamo tutti euro-entusiasti. Ora siamo divisi, tra euro-combattenti in piazza ed euro-indifferenti nel Palazzo. Chiunque vinca, sarà un disastro.

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