21 Novembre 2024

Le tensioni, le operazioni belliche, i cyberattacchi rischiano di far scivolare il mondo verso nuove ostilità

L’eliminazione di Yahya Sinwar da parte di Israele avrà forse un po’ sollevato l’umore di Bernard-Henri Lévy. Ma l’analisi che fa del mondo attuale non cambia: il Medio Oriente rimane in fiamme, l’Iran non è lontano dall’avere la bomba nucleare, in Ucraina si combatte. Il filosofo francese sostiene che siamo già entrati nella fase iniziale di una nuova guerra mondiale. Non è il solo a ritenerlo: molto spesso, però, con la stessa definizione si intendono cose differenti. Dare un nome a ciò che accade è importante ma dal momento che di guerre mondiali la storia ne ha già viste due, una diversa dall’altra, indicarne una terza ha bisogno di precisazioni: sarebbe molto diversa da quelle che l’hanno preceduta, al punto che per parecchio tempo potremmo non accorgerci che è in corso; potrebbe non avere una data d’inizio storicamente ufficiale, un 28 giugno 1914 o un 1° settembre 1939.
Lévy vede nell’Ucraina e in Israele le linee del fronte che segnano in questo momento il conflitto e ritiene che Taiwan ne diventerà la terza in tempi non lunghissimi. L’invasione russa e l’aggressione di Hamas e di Hezbollah, però, potrebbero essere lette come prodromi di una guerra globale ancora da venire, non iniziata e non certa. In senso tradizionale, una guerra assumerebbe la caratteristica di essere mondiale solo se vedesse lo scontro tra le due grandi potenze, gli Stati Uniti e la Cina. Ciò può avvenire se Pechino continuerà ad aumentare la pressione su Taiwan al punto di asfissiarla politicamente ed economicamente o addirittura di invaderla (possibilità che Xi Jinping non esclude). Ma per il momento nello Stretto di Taiwan non c’è una guerra dichiarata, solo promessa.
Il Ventunesimo Secolo, tuttavia, si sta rivelando piuttosto creativo in termini di iniziative belliciste. E viene da supporre che, in effetti, il conflitto globale non sia stato dichiarato ma sia già in azione, in forme e modi nuovi. Il 14 ottobre, il capo dei servizi d’intelligence tedeschi, Thomas Haldenwang, ha rivelato che, casualmente, qualche mese fa un pacco esplosivo è stato trovato su un aereo nell’aeroporto di Lipsia: se fosse esploso in volo, avrebbe provocato una tragedia. Non ha accusato direttamente il Cremlino ma i servizi tedeschi stanno indagando con l’idea che l’attacco sia collegato alla Russia. Haldenwang ha parlato di «comportamenti aggressivi» da parte di agenti russi, ha sostenuto che atti di sabotaggio e spionaggio originati a Mosca sono in aumento in quantità e qualità e ha aggiunto che mettono «la vita delle persone a rischio». Qualcuno potrebbe parlare di atti di terrorismo, niente di nuovo: in realtà qui è uno Stato, la Russia, a portare una minaccia diretta a un altro Stato, la Germania. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha sostenuto che il Paese deve essere pronto per una guerra entro il 2029 a causa delle crescenti minacce russe.
L’americana Fbi ha fatto sapere che nel solo mese di settembre unità cinesi hanno hackerato 260 mila dispositivi in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e in altri Paesi e che il personale cinese dedicato all’attività supera quello della Fbi stessa in proporzione di 50 a uno. Seicentomila persone farebbero parte dell’intelligence che Pechino impiega per raccogliere informazioni e organizzare operazioni cosiddette di sicurezza. I servizi d’informazione e di difesa occidentali hanno confermato al quotidiano Wall Street Journal di non avere lontanamente i mezzi per contrastare la portata di questi attacchi.
A inizio ottobre, in un rapporto sulle attività criminali digitali, Microsoft ha denunciato che Mosca, Pechino e Teheran si appoggiano sempre di più su reti criminali per operazioni di cyberspionaggio e hackeraggio in Occidente. Sistemi di spionaggio afferenti alla Cina sarebbero presenti persino sulle gru (di costruzione cinese) che operano in porti americani ed europei. Nei giorni scorsi, l’Ufficio per la Sicurezza Nazionale di Taiwan ha fatto sapere che Pechino ha aumentato significativamente i cyberattacchi nell’isola anche con l’suo di intelligenza artificiale. Un po’ meno sofisticata la minaccia della Corea del Nord: nei giorni scorsi, Kim Jong Un ha ordinato la distruzione delle strade (chiuse) che portano verso la Corea del Sud, ha minacciato di annientare Seul e ha sostenuto che, in pochi giorni, un milione e quattrocento mila giovani nordcoreani sarebbero accorsi alle armi, pronti a tutto. Non c’è insomma settimana durante la quale i segni di una guerra non si presentino, qualche volta contrastati da azioni come l’eliminazione di Sinwar ma con un effetto cumulativo che prima o poi non potrà che concretizzarsi in un salto di qualità verso il peggio. Anche la diplomazia è spesso congelata.
Può, tutto ciò, essere considerato l’inizio di una guerra globale? Non dichiarata ufficialmente ma reale? Qualche similitudine con gli inizi dei due grandi conflitti del Novecento si può trovare. Alla fine degli Anni Trenta, le intenzioni di Hitler erano chiare: assoggettare l’Europa con i carri armati. I maggiori governi se lo vollero negare: oggi ci possono essere pochi dubbi sugli obiettivi di Putin, degli ayatollah e sulla pericolosità di Kim; Xi Jinping — che è la chiave di tutto — per ora osserva benevolo il lavoro sporco fatto dai tre membri del suo «quartetto del caos». Nel 1914, invece, l’Europa scivolò nella Grande Guerra quasi senza accorgersene, da sonnambula si è detto. Sta succedendo anche oggi, su scala ancora maggiore? In entrambi i casi, è bene non sottovalutare l’avvertimento di Bernard-Henry Lévy.

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