Fonte: Corriere della Sera
di Aldo Cazzullo
Hanno vinto i candidati di Renzi. Roberto Giachetti prevale a Roma, davanti a Roberto Morassut, che non si è schierato contro il premier ma aveva in teoria l’appoggio dei suoi nemici interni. A Napoli è prima Veleria Valente, scelta dal segretario del partito
Il discredito del Pd romano non potrebbe essere maggiore, così come il degrado e la confusione della politica nella capitale. Eppure fin dal mattino presto si sono allungate le code ai seggi delle primarie.
D’accordo: età media alta, come a teatro (ma gli anziani non sono mica cittadini di serie B); affluenza decisamente in flessione. Ma il confronto con il 2013 è improbo: in mezzo ci sono stati Mafia capitale e il disastro Marino. E ieri si confrontavano personaggi di seconda fila: in una domenica fredda e piovosa, poteva andare molto peggio. Al di là del calo, le primarie si confermano uno strumento utile ad attenuare la distanza tra elettori ed eletti, a rispondere alla domanda di partecipazione che nonostante gli scandali anima ancora le grandi città del Paese, come si era visto già a Milano e come si è visto a Napoli.
Hanno vinto i candidati di Renzi. Roberto Giachetti prevale a Roma, davanti a Roberto Morassut, che non si è schierato contro il premier ma aveva in teoria l’appoggio dei suoi nemici interni. A Napoli è prima per un pugno di voti Valeria Valente, scelta dalla segreteria del partito. Non sono però candidati forti. Giachetti era il capo di gabinetto di Rutelli, e non ha neppure il sostegno di Rutelli. Valente era la pupilla di Bassolino, e si è messa in gioco contro Bassolino, il Totti della Campania, la conferma di quanto sia duro, almeno in Italia, lasciare la ribalta o vincere la tentazione dell’eterno ritorno.
Resta da vedere se Giachetti e la Valente saranno in grado di diventare sindaci alle amministrative di giugno. Nei sondaggi sono messi male. Secondo quello pubblicato dal Mattino, a Napoli oggi andrebbero al ballottaggio il sindaco De Magistris, benché non abbia alle spalle alcun partito — o forse proprio per questo — , e il candidato dei Cinque Stelle, che ancora non si sa neppure chi sia. Dati imbarazzanti per un Pd che Renzi vorrebbe ben ancorato al centro del campo; anche se il premier considera le comunali una sorta di inevitabile scocciatura, un po’ come le regionali dell’anno scorso. E per l’uomo della rottamazione perdere a Napoli con la Valente sarebbe meno peggio che vincere con Bassolino (proprio come Totti, l’ex sindaco e presidente della Regione ha dimostrato di avere ancora un’ampia schiera di fan, ma pure di aver inevitabilmente perso la gara con il tempo). La vera partita di Renzi sarà il referendum di ottobre sulla riforma istituzionale. Arrivarci dopo aver perso qualche metropoli può persino aiutarlo a drammatizzare lo scontro e quindi a vincerlo; ma una serie di débâcle darebbero forza alla sinistra interna — che anche ieri non ha battuto colpo —, e indebolirebbero il governo pure all’estero: due grillini sindaci a Roma e a Napoli sarebbero l’apertura dei siti di tutto il mondo.
Nell’attesa del responso, la domenica un po’ troppo enfaticamente ribattezzata SuperSunday consegna un’altra indicazione. Le primarie, con i loro limiti, funzionano, se non altro perché semplificano. Non si capisce perché debbano essere soltanto una «cosa di sinistra»; come se non ci fosse un popolo di liberali e moderati altrettanto disponibile a partecipare. Anzi, la destra ne avrebbe bisogno più ancora della sinistra: storicamente maggioritaria nella società italiana, ha oggi un grave problema di ricambio e selezione della classe dirigente. Anziché gazebo improvvisati e consultazioni confermative, occorre riconoscere a militanti e opinione pubblica il diritto di scegliere il proprio candidato; a cominciare da Roma. Si decida liberamente e democraticamente tra Bertolaso, Meloni, Marchini; e si chiuda questa commedia.