Nell’intervista al «Corriere» Suslov ammette che la ragione principale delle scelte di Putin è la paura che il nuovo duopolio globale Washington-Pechino emargini Mosca e il suo ruolo internazionale. Di qui la scelta di un atto di forza militare per riaffermare il carattere di potenza della Russia, obbligando Washington e Pechino a riconoscerlo
L’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera (domenica 23 febbraio) da Dimitri Suslov, uno dei più ascoltati consiglieri politici di Putin, solleva molti dubbi sulla disponibilità di Mosca di negoziare una pace giusta.
Le parole di Suslov sono pesanti come pietre: annessione di Crimea e Donbass alla Federazione Russa; neutralità permanente dell’Ucraina; no a rapporti, diretti o indiretti, di Kiev con la NATO; riduzione a dimensioni minime delle forze armate ucraine e nessuna forma di loro cooperazione con paesi occidentali; disconoscimento della legittimità di Zelenski. E dunque l’Ucraina nazione a “sovranità limitata”, ridotta a zona di cuscinetto tra EU e Russia a protezione della sicurezza di Mosca. Una vera e brutale richiesta di resa.
Condizioni che esprimono un tema storicamente sempre presente nelle dirigenze russe: la sindrome dell’accerchiamento. Ora se è certamente vero che nel corso della storia – dai cavalieri templari germanici e baltici alle molte guerre russo-polacche e russo-svedesi fino a Napoleone e a Hitler – le insidie alla sovranità russa sono venute da ovest, è altrettanto vero che già la contrapposizione della guerra fredda fu gradualmente superata con la «coesistenza pacifica», ma soprattutto è incontestabile che dalla caduta del muro di Berlino in poi nessuna insidia è stata mossa dall’Occidente alla Russia. Né dalla NATO, né dalla Ue.
Vale la pena di ricordare passaggi essenziali del rapporto NATO-Russia. 1990, ancora in vita l’Unione Sovietica, primi colloqui della NATO con Mosca. 1994 la Federazione Russa partecipa ai programmi NATO di Partner for Peace. 1997 siglato l’ «Atto fondatore» NATO-Russia prevedendo la costituzione di un Consiglio permanente congiunto. 2001 adottato un Glossario comune – Glossary of contemporary Political e Military trends – per armonizzare linguaggi e comunicazioni. 2002 costituito il Consiglio Nato-Russia con periodiche sessioni di consultazione.
Come si vede un percorso di intensa cooperazione che si interruppe nel 2014 quando Putin decise l’annessione unilaterale della Crimea. E tuttavia anche dopo quell’atto che violava il principio – sancito dagli Accordi di Helsinki sottoscritti anche da Mosca – di intangibilità delle frontiere e della sovranità territoriale degli Stati, non c’è stato alcun atto ostile della NATO alla Russia. E perfino quando l’invasione russa dell’Ucraina apparve ormai prossima, sia Macron che Scholz recandosi a Mosca per scongiurarla dichiararono pubblicamente che la NATO non avrebbe integrato l’Ucraina. Passaggi che rendono evidente quanto strumentale sia la tesi di una volontà dell’Occidente di insidiare la sovranità di Mosca.
Peraltro segno altrettanto cooperativo hanno avuto le intense relazioni intrattenute dall’Unione europea con Mosca, di cui per decenni Bruxelles è stata il primo partner economico. Non solo, ma quando nel 2004 la Ue si allargò ai Paesi dell’Europa centrale, contemporaneamente si sottoscrisse il primo Accordo di Cooperazione Unione Europea-Russia affinché l’allargamento non venisse vissuto da Mosca come atto ostile.
D’altra parte nella intervista al Corriere della Sera il consigliere Suslov ammette che la ragione principale delle scelte di Putin è la paura che il nuovo duopolio globale Washington-Pechino emargini Mosca e il suo ruolo internazionale. Di qui la scelta di un atto di forza militare per riaffermare il carattere di potenza della Russia, obbligando Washington e Pechino a riconoscerlo. E anzi spezzando il duopolio sino-americano con l’offerta alla Cina di un’alleanza contro Stati Uniti e Occidente. Ed è curioso constatare che la stessa logica ispira Trump, disposto a concedere a Putin tutto quel che vuole nella speranza di spezzare la alleanza di Mosca con Pechino.
Il che conferma che in realtà sul conflitto russo-ucraino si gioca una partita più ampia che investe gli assetti del mondo, liquidando il sistema multilaterale e i suoi valori democratici e sostituendolo con la riedizione delle sfere di influenza, sovranità limitate e relazioni fondate sui soli rapporti di forza. Ma proprio per questo non può essere accettato il cinico calcolo di chi vuole farne pagare il prezzo al popolo ucraino.