18 Ottobre 2024

La tecnologia fornisce armi sofisticate, ma i negoziati per arginarle sono bloccati

Una bolla immensa di luce si abbatte su Londra. Distrugge il Parlamento di Westminster, poi Buckingham Palace e il grattacielo «The Shard», progettato da Renzo Piano. Sventra palazzi, rade al suolo interi quartieri. Alla fine ecco il profilo sinistro del fungo atomico che si innalza sulla capitale britannica.
Il video dura quattro minuti. È la simulazione di un bombardamento nucleare russo sulla metropoli inglese che si conclude con stime terrificanti: 850 mila morti, oltre 2 milioni di feriti. Il filmato era già circolato nei mesi scorsi, ma è ricomparso in questi giorni sul canale tv Tsargrad che fa capo all’oligarca Konstantin Malofeev, uomo d’affari molto legato alla Chiesa ortodossa e, soprattutto, Vladimir Putin.
Solo una provocazione, un’altra trovata del marketing del terrore promosso da Mosca? Naturalmente tutti noi speriamo che sia così. Intanto, però, ieri lo stesso Putin ha dichiarato: tratteremo come aggressori quelle potenze nucleari che appoggeranno chi attaccherà il nostro territorio; potremmo rispondere con le armi atomiche.
Dopo aver visto il virtuale annientamento di Londra, i media britannici hanno concluso che l’avvertimento di Putin fosse diretto soprattutto al governo guidato da Keir Starmer, uno dei più convinti sostenitori della strategia di Volodymyr Zelensky. Vale a dire colpire duramente le basi militari anche all’interno del territorio nemico.

L’inquietudine
In ogni caso le parole del leader russo e quelle immagini apocalittiche riaccendono le inquietudini nell’opinione pubblica dei Paesi occidentali. Non si può escludere, come dicono i generali del Pentagono, il rischio di un’escalation nucleare.
Sabato 21 settembre si è saputo che era fallito un nuovo test del missile intercontinentale Sarmat, in grado di trasportare testate atomiche. È uno degli ordigni più micidiali custoditi nei depositi russi. Nel 2018 Putin mostrò una clip in cui si vedeva un Sarmat piombare sulla Florida.
Ma il problema non è solo Putin. Con una sovrapposizione che non sembra affatto casuale, si sta muovendo anche la Cina. Due giorni fa Pechino ha lanciato un missile intercontinentale, caduto poi nell’Oceano Pacifico. Non accadeva dal 1980. A quanto risulta, Washington ha seguito con allarme quello che il ministero della Difesa cinese ha definito «un test di routine».
In realtà il mondo sta vivendo una fase di riarmo nucleare, come conferma l’ultimo rapporto dell’istituto Sipri, (Stockholm international peace research institute), pubblicato l’altro giorno, martedì 24 settembre. L’autorevole istituto svedese raffigura uno scenario preoccupante, sulla base dei pochi dati ufficialmente disponibili. Oggi gli Stati in possesso di un arsenale atomico sono nove: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele. In totale questo gruppo di Paesi dispone di 12.121 testate nucleari, di cui 9.585 potenzialmente pronte all’uso.

Il lancio immediato
Il Sipri calcola che sono già schierati 3.904 ordigni, tra cui 2.100 in condizione di «elevata prontezza operativa», cioè predisposti al lancio immediato.Attenzione, perché quelli già pronti a colpire sono 100 in più rispetto allo scorso anno. Questo significa che il trend di contenimento, se non di riduzione dei rischi si è invertito.
Stati Uniti e Russia controllano il 90% degli armamenti. Nel dettaglio Washington dispone di 5.044 testate, di cui 1.770 «dispiegate». Mosca contrappone un totale di 5.580 ordigni, con 1.710 già operativi.
Nella classifica delle potenze atomiche seguono il Regno Unito, con un totale di 225 bombe, tra cui 120 in campo; la Francia, con un numero complessivo di 290 e 280 schierate. La Cina guidata da Xi Jinping, al momento, sembra lontana: solo 24 dispositivi attivati, ma con un inventario di 500 bombe.

I piani di Pechino
Tuttavia i piani di Pechino sembrano destinati a cambiare gli equilibri della deterrenzao del pericolo globale. Si prevede che entro il 2030 i cinesi raggiungeranno Stati Uniti e Russia per numero di missili balistici intercontinentali. Anche altri Paesi, come Regno Unito, India e Pakistan, prevedono di aumentare le scorte atomiche.
Stiamo assistendo a due fenomeni contrapposti. Da una parte lo sviluppo tecnologico fornisce armamenti sempre più sofisticati e sempre più devastanti. Dall’altra la diplomazia internazionale non sembra in grado di riprendere i negoziati per arginare la proliferazione nucleare.

Il dialogo interrotto
Il dialogo tra Stati Uniti e Russia si è interrotto nel febbraio del 2023, quando Putin ha deciso di sfilarsi dal Trattato «New Start» che fissava un tetto di 1.550 testate nucleari e di 700 «vettori» (missili, aerei, sommergibili) per parte. Eppure due anni prima, nel febbraio 2021, il presidente russo aveva accettato di prolungare la durata dell’accordo fino al 2026. E a lungo Biden ha sperato di coinvolgere anche Xi Jinping nelle trattative per il parziale disarmo. Ma l’aggressione all’Ucraina ha cambiato tutto.

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