19 Settembre 2024

Teheran si è imposta come paladina dell’asse tra islamici. Nel suo mirino l’avvicinamento tra Gerusalemme e Riad

Un doppio summit in Libano per preparare il Diluvio. Protagonisti gli iraniani, i loro alleati Hezbollah e Hamas. Il primo è all’inizio di aprile quando una delegazione palestinese incontra Esmail Qani, re sponsabile della Divisione Qods, l’organizzazione dei pasdaran per le operazioni segrete. La storia trapela, si teme un nuovo round bellico, gli esperti però non immaginano la portata della minaccia. Poi arriva il secondo meeting lunedì scorso a Beirut per dare la luce verde all’assalto: a sostenerlo è il Wall Street Journal che cita fonti anonime della fazione.
Le rivelazioni si sommano alle conferme indirette di un coordinamento. Un portavoce di Hamas ha sottolineato il supporto di Teheran e il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha parlato per telefono con i leader del movimento. Inizialmente gli ayatollah avevano appoggiato la Jihad islamica, avevano bisogno di uno strumento più docile rispetto ad Hamas, partito con grande base sociale e una sua autonomia. Il lungo scontro con Israele, il desiderio dell’Iran di incidere di più in Medio Oriente e di avere una sponda in grado di impensierire Gerusalemme hanno favorito la cooperazione.
Teheran ha abbracciato la causa palestinese per vocazione e interesse in modo da proporsi come vero paladino mentre altri Stati preferivano dedicarsi ad altro e persino a firmare patti con «il cancro sionista», una delle definizioni preferite dagli eredi di Khomeini.
Il fuoco sempre vivo del conflitto ha offerto opportunità, l’abilità iraniana nel gestire azioni clandestine ha facilitato la missione. In modo sistematico l’Iran ha inviato armi, tecnologia per produrre razzi, fondi importanti. In una certa fase i carichi partivano via nave, raggiungevano il Sudan, poi proseguivano verso l’Egitto e da qui entravano a Gaza attraverso i tunnel. Rotta colpita più volte da Israele con strike «lontani» e ostacolata in qualche modo dagli egiziani. Nel 2010 il Mossad ha ucciso in un hotel di Dubai Mahmoud al Mabhou, uno degli armieri della fazione.
L’interdizione non ha impedito alle Brigate Ezzedine al Qassam di espandere l’arsenale, di perfezionarlo insieme alle tattiche dei mujaheddin. I rudimentali razzi Kassam sono stati affiancati da equipaggiamenti migliori. È cresciuta la qualità e la quantità grazie alla preziosa assistenza iraniana in tandem con i guerriglieri sciiti libanesi, altri maestri della guerra ibrida. L’intelligence è convinta che ci sia la mano degli iraniani nella pianificazione dell’attacco di sabato, in particolare su come nascondere i preparativi e addestrare i nuclei di incursori.
L’asse Hamas-Hezbollah-Iran ha pensato che le condizioni fossero mature per una missione basata su quattro pilastri: 1. Ritorsione agli attacchi israeliani in Iran contro siti strategici. 2 Debolezza dello Stato ebraico per la crisi istituzionale. 3. Stop al disgelo tra israeliani e sauditi. 4. Accerchiare lo Stato ebraico con militanti pronti a colpire in caso di un conflitto tra Teheran e Gerusalemme. Da qui la fornitura costante di razzi, droni e sistemi da utilizzare per azioni di guerriglia ma anche per manovre più estese . Una trama allungatisi dal Libano alla Siria e poi all’Iraq, base di formazioni sciite determinate, pronte ad agire a comando o a innescare provocazioni.
Tutto ciò in un quadro ricco di sfumature. Secondo un’interpretazione la leadership pro-Iran di Hamas incarnata da Ismail Haniyeh, Saleh al Arouri e Mohammed Deif ha imposto la sua linea rispetto a quella dei dirigenti più vicini al Qatar e in buoni rapporti con i servizi egiziani. Da seguire, a questo proposito, le mosse dell’Emirato qatarino in quanto grande finanziatore di Gaza, riferimento politico-religioso per la Fratellanza, attore con grande influenza. Sono dinamiche molto elastiche. Lo indicano alcune indiscrezioni. È suggerito che le Brigate al Qassam abbiano creato canali privilegiati con i referenti a Teheran. Forse è vero oppure sono voci diffuse dagli avversari per creare sospetti ma che non scalfiscono l’unità di intenti nella regione.

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