19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Pierluigi Battista

Se altrove l’oppressione si esercita su persone che non hanno il nostro passaporto, tutta la solennità delle dichiarazioni epocali, tutto il rito del «mai più», tutta la retorica della memoria da tenere desta, tutto questo si affloscia, si zittisce, sparisce


Però siamo davvero un po’ ipocriti noi italiani che ogni anno ricordiamo solennemente i valori di libertà vittoriosi il 25 aprile del ’45. La difesa instancabile dell’universalità dei diritti, il rifiuto dell’oppressione e della dittatura, il poderoso «mai più» che non ci costa nulla pronunciare in coro. Ma solo dentro i confini nazionali, beninteso, come in una forma parodistica di sovranismo autoriferito: ci interessa solo quello che ci passa sotto il naso, i diritti sono diritti imprescindibili solo se tricolori, la lotta politica riguarda solo la nostra parrocchietta. Perché se altrove quei diritti vengono calpestati senza pietà, se l’oppressione si esercita su persone che non hanno il nostro passaporto, tutta la solennità delle dichiarazioni epocali, tutto il rito del «mai più», tutta la retorica della memoria da tenere desta, tutto questo si affloscia, si zittisce, sparisce, si ripiega nella paura e nell’indifferenza.
Se ci sono di mezzo i cristiani perseguitati nel mondo, poi, l’indifferenza diventaquasi oltraggiosa. Nell’Arabia Saudita, Paese in cui l’oppressione raggiunge vette di sadismo inaudito ma senza che questo impedisca alle nostre squadre di calcio di disputare partite in stadi che non permettono alle donne di entrare liberamente (non potrebbero organizzare lì un bel torneo da intitolare «25 aprile»?), hanno appena giustiziato 37 poveracci messi a morte con l’accusa grottesca di «terrorismo». Non gli è bastato: hanno pure crocefisso un cadavere, tanto per sottolineare la simbologia macabra. E da noi, finite le celebrazioni del «mai più»? Da noi niente, il silenzio più assoluto. Il silenzio totale come quello che accompagna la sorte della povera cristiana Asia Bibi in Pakistan, liberata dopo anni di prigione dall’accusa assurda di blasfemia, ma costretta alla clandestinità per non urtare la suscettibilità dei fanatici islamisti. Silenzio anche sulla sorte di Nasrin Sotoudeh. Chissà se questo silenzio permetterà di sentire il rumore orribile delle 148 frustate che gli aguzzini di Teheran hanno inflitto a chi in Iran è colpevole solo di aver difeso i diritti umani fondamentali. Ma lei non è italiana, non serve alle polemicucce di rione, e quindi i diritti, la liberò conculcata, la tortura, lo scempio dei cadaveri, cessano di riguardarci, non sono più materia di comizi insinceri. Silenzio.

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