Fonte: Corriere della Sera
di Michele Salvati
Rimpiangeremo l’eliminazione del ballottaggio: garantiva alla lista vincitrice il consenso parlamentare necessario a sostenere un esecutivo
Temo che rimpiangeremo la bocciatura della riforma costituzionale e l’eliminazione del ballottaggio nella legge elettorale, quel carattere che garantiva alla lista vincitrice il consenso parlamentare necessario a sostenere il governo. Le conseguenze già si vedono, diverranno sempre più evidenti mano a mano che ci si avvicina alla fine della legislatura ed è possibile che esploderanno in una crisi politica difficilmente sanabile dopo che le elezioni avranno registrato una situazione di stallo. In questa coda di legislatura il Presidente della Repubblica farà tutto quanto è in suo potere per favorire l’approvazione di una legge elettorale più coerente di quella che risulta dalle prescrizioni delle due sentenze della Corte, ma anche in tal caso è probabile che si tratterà di una legge proporzionale. Ed è questo il problema.
Quale problema, obietteranno il sostenitori di un principio di rappresentanza applicato in modo rigoroso, anche a discapito della governabilità? Non è forse vero che in uno dei Paesi più importanti e meglio governati d’Europa, la Germania, la rappresentanza proporzionale non ha mai ostacolato un governo efficace? E non è vero che, nei lunghi anni della Prima Repubblica, un governo si è sempre riusciti a farlo? (Anche se, dopo gli anni sessanta, si trattò di governi assai meno efficaci che in Germania).
Lasciamo da parte i confronti internazionali: nei Paesi che adottano una legge proporzionale è un sistema politico meno polarizzato del nostro a consentire la formazione dei governi, di coalizione, quando risulti necessario. E durante la Prima Repubblica il grande discrimine dell’anti-comunismo, della conventio ad excludendum, consentiva quel bipartitismo imperfetto di cui parlava Giorgio Galli: l’unico vero momento di difficoltà fu quando, nei primi anni 60, il calo dei consensi elettorali costrinse la Democrazia Cristiana a cercare l’appoggio dei socialisti, così estendendo l’area delle coalizioni possibili. Il tutto funzionò fino alla crisi di Tangentopoli, e gli elettori sapevano perfettamente a chi davano il loro voto: se a un partito incluso o includibile nella coalizione di governo o ad uno che ne era escluso.
Insomma, non c’era alcun bisogno di dichiarare le coalizioni prima del voto: al di là di schermaglie tattiche, e di occasionali rifiuti a partecipare, la logica delle coalizioni era rigida e ben nota. E oggi? Oggi tutti i partiti sono potenzialmente includibili in una coalizione di governo, ma si guardano bene dal dichiarare se e con chi si coalizzeranno. Oppure auspicano coalizioni del tutto disomogenee e comunque troppo ristrette per raggiungere una maggioranza nei due rami del parlamento. Un atteggiamento comprensibile per i 5 Stelle, seduti sulla riva del fiume ad aspettare che passino i cadaveri degli altri partiti. Meno comprensibile, anche se spiegabile, per i partiti che nel sistema bipolare della Seconda Repubblica componevano le coalizioni di centrodestra o di centrosinistra.
Furbescamente Berlusconi ripropone la solita coalizione con la Lega e Fratelli d’Italia, fidando che i suoi elettori non si avvedano del contrasto tra chi vuol far parte del Partito Popolare Europeo e chi dall’Europa vuole uscire. E neppure si accorgano che probabilmente tale coalizione sarebbe numericamente insufficiente e, per governare, dovrebbe allearsi: con chi, di grazia? Meno «furbo» sembra essere Renzi, che non ha fatto molto per attenuare i conflitti alla sua sinistra e ripropone un programma di riformismo liberale che difficilmente gli farà guadagnare voti a destra. E in ogni caso si guarda bene dal dire se, nel caso i numeri non bastassero e Berlusconi rompesse i rapporti con i populisti di Salvini e Meloni, sarebbe disposto ad allearsi anche con lui.
Con una legge elettorale proporzionale e in presenza dei 5 Stelle le vecchie coalizioni bipolari non reggono, i conflitti al loro interno aumentano e riproporle fidando sulla distrazione, il tradizionalismo o l’ignoranza degli elettori rasenta l’ipocrisia, come sottolinea Mauro Calise(Il Mattino del 17 luglio ). I partiti corrono da soli sulla base di programmi che danno soltanto un’idea di massima delle loro intenzioni: se sarà possibile un’alleanza in grado di governare e, in tal caso, quale saranno i compromessi programmatici che essa imporrà ai partiti alleati, sarà possibile capirlo solo dopo il voto.
In queste condizioni è cruciale il ruolo del Presidente della Repubblica, che aumenta nel caso in cui il sistema politico non riesca a dare una risposta alle esigenze di governo del Paese. Temo che Sergio Mattarella si troverà di fronte una situazione al cui confronto sembrerà semplice quella che ha dovuto affrontare Giorgio Napolitano.