Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Il cosiddetto modello tedesco potrebbe portarci in pochi anni alla dissoluzione della democrazia: aumenteranno la frammentazione e il rischio instabilità
Chissà se i deputati che fra non molto voteranno in Aula la legge elettorale soprannominata «il modello tedesco» (niente più latinorum?), avranno la consapevolezza di partecipare a una seduta storica? Potrebbe prendere il via un gioco di azioni e reazioni tale da provocare, in pochi anni, la dissoluzione della democrazia. I più superficiali dicono che siccome abbiamo vissuto di proporzionale per cinquant’anni, possiamo farlo per altri cinquanta. Peccato che manchino entrambe le condizioni che resero allora possibile la democrazia proporzionalistica. Mancano partiti politici forti e socialmente radicati e una collocazione internazionale resa ultra-stabile dalla Guerra fredda e dalla politica dei blocchi. Senza contare che nell’ultima parte di quel cinquantennio, in un periodo di pace, accumulammo un debito pubblico superiore a quello che si ritrovano certi Paesi al termine di guerre devastanti. Come ha detto Walter Veltroni nella bella intervista rilasciata a questo giornale il 2 giugno, con la proporzionale aumenterà la frammentazione e si rischierà l’instabilità totale. Inoltre, l’impossibilità dell’alternanza e gli accordi di governo fatti dopo le elezioni rafforzeranno l’ostilità che tanti italiani già nutrono per la democrazia rappresentativa.
Chi scrive non si è mai unito in passato al coro, sguaiato e tristo, degli antiberlusconiani viscerali, un tempo numerosissimi. Per questo ora posso permettermi di dire che le responsabilità di Berlusconi, in questa fase, sono gravi. Ha cominciato con il voltafaccia sul referendum costituzionale. Egli aveva anche buone ragioni nel suo contenzioso con Renzi. Ma il risultato è stato disastroso. Probabilmente il «sì» avrebbe perso ugualmente. Ma, forse, avrebbe perso di misura, non con un «cappotto» che ha messo per sempre la parola fine sulla possibilità di una riforma costituzionale. È davvero così soddisfatto Berlusconi di avere contribuito a rendere per sempre intoccabile la «Costituzione più bella del mondo»? Ha poi continuato sostenendo a spada tratta il sistema proporzionale (e fornendo così l’alibi più autorevole a un Parlamento composto da persone che non chiedono altro). Con il maggioritario avrebbe costretto la Lega a ridurre il tasso di estremismo. Soprattutto, centrosinistra e centrodestra avrebbero potuto ricostituire (come a Milano) un assetto bipolare, mettendo fuori gioco i 5Stelle. Se è la paura dei 5Stelle al governo che ha dettato l’agenda di Berlusconi, egli sappia che nulla meglio della proporzionale servirà a gettare il Paese in grembo a quel movimento. Ve ne accorgerete quando, dopo le elezioni, scoprirete che non ci sono maggioranze stabili possibili e che l’ingovernabilità gonfierà ulteriormente i consensi dei 5Stelle. La proporzionale non è in grado di fermare i partiti antisistema. Anzi, consentendo loro di non stringere alleanze preelettorali, esalta, agli occhi degli elettori, la loro purezza, la loro indisponibilità a compromessi. Non fu la proporzionale a fermare il Pci durante la cosiddetta Prima repubblica: fu la Guerra fredda.
Il movimento 5Stelle è rappresentativo di una parte (a quanto pare, assai ampia) del Paese, desiderosa di prendere congedo dalla modernità. I 5Stelle tirano quotidiane bordate contro i suoi fondamenti: la scienza, la democrazia rappresentativa, l’economia di mercato. Vogliamo limitarci a dire che non sono attrezzati per governare una società industriale complessa? Si noti che nemmeno i loro potenziali alleati, ossia le parti più politicizzate della magistratura, sia ordinaria che amministrativa, possiedono le competenze per un simile governo. Nel caso dei magistrati ordinari politicizzati, una «visione del mondo» incapace di interpretare la realtà se non attraverso il filtro del diritto penale, l’incomprensione — che caratterizza tanti di loro — delle esigenze di un’economia di mercato, e, infine, la loro tendenza a pensare (al pari di certi giudici costituzionali) che la discrezionalità politica sia incostituzionale o in odor di reato, rendono i loro atteggiamenti poco compatibili con la democrazia liberale. È su questo comune terreno che essi possono trovare una stabile intesa con i 5Stelle. Ci sono poi certi settori della magistratura amministrativa, quelli la cui ragion d’essere consiste nella difesa a oltranza del pubblico impiego, dei suoi privilegi, e delle sue storiche arretratezze e inefficienze. Non è un caso che i 5Stelle abbiano applaudito la sentenza del Tar del Lazio sui direttori dei musei.
Un’alleanza 5Stelle/magistrature (una parte di esse) sarebbe fortissima. Chi vi si opponesse lo farebbe a suo rischio e pericolo. L’incompetenza non sarebbe sufficiente a metterla fuori gioco in breve tempo. I regimi populisti (vedi il caso del presidente Maduro in Venezuela) sono capaci di durare a lungo. Usando anche massicci trasferimenti di reddito e regalie al pubblico impiego a scapito dei «ricchi», ossia del settore privato. Inoltre, un «nemico» (l’oligarchia, la casta, i poteri forti) ai cui complotti attribuire le difficoltà del governare, e i connessi disastri, si trova sempre. Aiuterebbe anche il cambiamento di collocazione internazionale: allentamento dei legami con l’Europa, sostituzione dell’influenza americana con quella russa.
Come definirebbero gli storici futuri un simile regime? Forse, come una democrazia giudiziaria (una forma inedita di autoritarismo) condita con molta — assai più antica — salsa latinoamericana (un misto di peronismo argentino, aprismo peruviano, chavismo venezuelano).
Aggiungo una notazione. Per pudore se ne parla poco ma c’è un’economia che cresce, e molto, al Nord, e un’economia stagnante al Sud. La forbice fra Nord e Sud, in questi anni, si è divaricata ulteriormente. Solo istituzioni solide capaci di ridurre la frammentazione politica e favorire la governabilità potrebbero consentire alla democrazia di assorbire le tensioni generate da questa accresciuta divisione.
Quando si dice che la politica sia l’arte del possibile si intende dire che i politici hanno sempre un orizzonte limitato, ossia che chi fa politica è costretto a tener conto solo del proprio interesse a breve termine. Di solito è così e i moralismi in merito sono inutili e noiosi. Ma ci sono anche particolari frangenti storici in cui un politico di razza capisce che il proprio interesse a breve potrebbe scontrarsi con l’interesse a medio termine di tutti, lui compreso (ribadisco: lui compreso), e ne tiene conto. Sarebbe utile capire se in giro è rimasto qualche politico di razza.