22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Sebastiano Maffettone

Strumenti comunicativi creano oggi una nuova piattaforma discorsiva che permette di relazionarsi inter-personalmente senza le grandi organizzazioni mediatiche


Ci sono molti modi e diversi per dare maggiore peso all’opinione pubblica allo scopo di recuperare la legittimazione perduta dai sistemi democratici. Uno di questi è quello basato sulla democrazia digitale. E’ lecito infatti pensare che il mutamento di struttura produttiva, di modi di pensare, di relazioni interpersonali, e in sostanza di ontologia, causato dalla digitalizzazione progressiva del mondo, possa avere anche conseguenze politiche. E, sotto questa assunzione, sembra utile domandarsi se tali conseguenze politiche sarebbero in grado di fornire proprio quella nuova legittimazione di cui sistemi democratici hanno bisogno.
Strumenti comunicativi diversi tra loro — dalle semplici e mailing lists al sistema Wiki, dai social networks ai siti qualificati e ai blog, dalle app interattive alle operazioni dei nuovi Makers e così via — creano un cambiamento profondo della sfera pubblica. In sostanza, si crea una nuova piattaforma discorsiva che permette di relazionarsi inter-personalmente senza ricorrere alle grandi organizzazioni mediatiche.
I vantaggi democratici della digitalizzazione in politica sono legati alla riduzione dei costi necessari per avere diritto di voce nel sistema politico. Se consideriamo l’effetto mediatico-politico della TV — e in paesi come l’Italia di Berlusconi come si fa a non tenerlo presente? — l’architettura di sistema cambia da un modello costituito da un grande hub centrale che raggiunge molti milioni di utenti periferici unilateralmente a quello in cui un’architettura flessibile vede operare un insieme puntiforme di soggetti produttori di informazione. Questo comporta una sostanziale diminuzione dei costi intesi come barriere di ingresso nel sistema della comunicazione pubblica. Il mutamento però non è solo quantitativo, ma anche qualitativo. Il cittadino diventa protagonista della sfera pubblica con la possibilità di avere voce in essa e il diritto-dovere di assumersi responsabilità.
Ci sono comunque numerose e note obiezioni a una visione come questa. E va detto che, in generale, nel tempo, all’ottimismo tecnologico dei primi anni si è gradualmente sostituito il sospetto. Una prima obiezione dice che alla fine dei giochi il potere economico controllerà ancora il sistema della comunicazione pubblica sia pure in maniera diversa. In altre parole, passeremmo da Berlusconi a Google, Facebook e Apple. Una seconda sostiene che l’eccessiva dispersione crea effetti perversi di incomprensione e confusione (la Babele democratica). La terza (Cass Sunstein) dice che un sistema di parlanti individuali impegnati politicamente genera polarizzazione (le cosiddette echochambers). La quarta insiste sul cosiddetto digital divide: senza diffusione universale queste forme di comunicazione riproducono e anzi rafforzano differenza tra classi e generazioni.
A nostro avviso, il rischio più grave connesso alla politica digitale è comunque quello legato alla possibilità di una sistematica manipolazione delle preferenze del cittadino-elettore. La manipolazione delle preferenze, che è implicita nella propaganda economica e aziendale, sembra però assai meno accettabile nell’universo della politica democratica. Il metodo democratico è basato sulle preferenze dei cittadini e se cominciamo a pensare che una distorsione sistematica di queste sia normale, allora rischiamo di perdita di senso della procedura democratica stessa.
Il modo tipico in cui si manipolano le preferenze politiche nel mondo digitale è costituito dal micro-targeting. Il microtargeting digitale politico è un metodo importato dalla pubblicità economica in rete. Per cui, le campagne politiche sempre più mettono insieme ricerca sui dati del votante con messaggi politici personalizzati che mirano a rafforzarne i pregiudizi. In sintesi, il microtargeting digitale politico può progressivamente: (1)identificare i votanti vulnerabili da convincere. (2)Indirizzare loro un messaggio specifico. (3)Manipolarne progressivamente le preferenze.
Un’indagine del New York Timese del Guardian ha rivelato che Cambridge Analytica, una discussa società di analisi politiche, ha avuto un’influenza notevole sia nella campagna elettorale di Trump sia nel Referendum sulla Brexit. Per riuscirci, Cambridge Analytica ha ottenuto e utilizzato strategicamente dati personali di oltre 50 milioni di utenti di Facebook. In sostanza, sarebbe stato trovato un algoritmo capace di raggiungere i cittadini — imitando la pubblicità commerciale — con messaggi in grado di produrre significativi effetti di natura politica, per esempio suscitando paura, rinforzando pregiudizi e polarizzando le opinioni (va detto che sulla validità teorica, matematica e statistica, di questo modello si possono nutrire dubbi)
La premessa è che ogni volta che andiamo in Rete siamo tracciati, e si raccolgono informazioni su di noi. Esiste un’industria da miliardi di dollari nella quale queste informazioni sono merce di scambio. Le informazioni che si raccolgono possono, potenzialmente, creare un profilo completo dal nome all’indirizzo, dalle preferenze politiche a quelle sessuali, dalla capacità di acquisto alle marche preferite.
Un fatto del genere non è solo un’invasione della sfera protetta delle persone poiché implica un cambiamento radicale delle relazioni umane. E, potenzialmente, una immensa capacità di controllo nelle mani di governi autoritari, o comunque nelle mani di organizzazioni economiche prive di accountability democratica. Così che il sogno di avvicinare attraverso lo strumento digitale il cittadino alla politica ridando legittimazione alla democrazia, rischia di trasformarsi nell’incubo di un Grande Fratello che sa tutto di noi e può condizionare le nostre vite come mai prima è accaduto. Ciò in maniera ancora più distopica della dittatura dei sapienti immaginata da Platone. Una dittatura, in altre parole, di chi ci sorveglia e ci controlla.

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