Il tema della demografia è decisivo per il Mezzogiorno che vede una crescita negativa e un’emigrazione verso le regioni del Nord e all’estero specie di cittadini con alti titoli di studio
L’economia del Mezzogiorno ha reagito meglio del resto dell’Italia alla fine della pandemia da Covid-19. La crescita superiore c’è stata grazie anche alle misure pubbliche espansive e alle risorse del Pnrr ma all’orizzonte, come e più delle altre zone del Paese, vedrà un freno dovuto all’andamento demografico negativo. La Banca d’Italia nel rapporto sulle economie regionali, pubblicato mercoledì 6 novembre, il tema della demografia appare decisivo per un Mezzogiorno che vede una crescita negativa e un’emigrazione verso le regioni del Nord e all’estero specie di cittadini con più alti titoli di studio. Su questo punto i dati parlano chiaro: lo scenario mediano delle previsioni demografiche dell’Istat prospetta un forte peggioramento del contributo del dividendo demografico alla crescita economica.
Il calo demografico penalizzerà il Mezzogiorno
Tra il 2023 e il 2043 in Italia la popolazione residente si contrarrebbe del 4,3%, riflettendo una lieve crescita nel Nord (0,9 per cento), più che compensata da un ampio calo al Centro e, in particolare, nel Mezzogiorno (rispettivamente del 3,6 e dell’11,9%). Il calo sarà ancora più marcato per la popolazione in età da lavoro: il numero delle persone tra 15 e 64 anni diminuirebbe in media di oltre il 16%, con andamenti differenziati fra le diverse macroaree: -11% nel Nord, -16 al Centro e -24 nel Mezzogiorno.
Le economie regionali hanno vissuto una fase di rallentamento del Pil nei primi sei mesi dell’anno. Sullo scorcio dell’autunno, si legge nel rapporto, le stime di Palazzo Koch indicano che nei primi nove mesi del 2024 la produzione industriale italiana è diminuita, riflettendo la debolezza della domanda interna ed estera. Quest’ultima in particolare vede una domanda potenziale diminuita in tutte le macroaree, soprattutto nel Nord Est e al Centro. Meglio i servizi: la quota di imprese con fatturato in espansione nei primi tre trimestri del 2024 è stata elevata in tutte le ripartizioni (circa il 50% al Centro Nord e il 43 nel Mezzogiorno) e largamente superiore all’incidenza di quelle con vendite in calo (20 per cento nel Nord Ovest, circa 16 altrove).
L’effetto Pnrr
Ad agosto del 2024 i lavori delle gare Pnrr aggiudicate (si veda anche il Sole 24 Ore del 5 novembre) si sono conclusi solo per il 15%, mentre per il restante 32% sono ancora in corso spesso con ampi ritardi rispetto ai tempi stimati: «l’avanzamento dei lavori è leggermente minore nel Mezzogiorno» si legge nel rapporto, dove si stima che il 47% delle gare bandite da novembre del 2021 e già aggiudicate ha avviato o terminato i lavori. L’incidenza di queste gare è più elevata nel Nord Est e nel Nord Ovest (50%) e più contenuta al Centro e nel Mezzogiorno (45 per cento). Il rapporto ricorda che a luglio del 2024 il valore dei progetti finanziati con le risorse del Pnrr gestiti da soggetti attuatori pubblici ammontava a 113 miliardi. Circa l’80% di tali progetti (91 miliardi) riguarda interventi per cui è richiesta una gara d’appalto. I bandi pubblicati tra gennaio 2020 e agosto 2024 e collegati a progetti finanziati dal Pnrr sono stati più di 173.000, per un ammontare di circa 61 miliardi .
Retribuzioni inferiori del 30% rispetto al Centro-Nord
Inoltre le retribuzioni nelle regioni del Sud restano inferiori del 30% a quelle del Centro-Nord che oltretutto nel 2023 hanno beneficiato dei rinnovi contrattuali dei settori che più peso hanno in quelle regioni. Per Bankitalia «l’incremento dell’occupazione ha sostenuto l’espansione del reddito disponibile delle famiglie, in special modo nelle regioni meridionali; l’inflazione ne ha tuttavia eroso il potere d’acquisto, frenando la crescita dei consumi».