Francia, Spagna, Portogallo e Grecia potrebbero presentare i piani già prossima settimana. Draghi corre per rispettare la scadenza soft del 30 aprile. Ma chi tardi arriva, male alloggia sull’anticipo delle risorse
Mancano esattamente due settimane alla scadenza per la presentazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza e l’Italia non è nel gruppo di testa dei primi paesi europei pronti a inviare alla Commissione Ue i loro progetti. Tutti gli Stati più in difficoltà per la crisi economica da covid, prevalentemente del sud Europa, sono pronti ai nastro di partenza. A Bruxelles, riferiscono fonti europee, si aspettano che Francia, Spagna, Portogallo e Grecia potranno presentare i loro piani addirittura la prossima settimana, ben prima del 30 aprile. Il piano italiano, vuoi per il cambio di governo 3 mesi fa, vuoi per altri motivi non ben chiari, non è ancora pronto. Al ministero del Tesoro e a Palazzo Chigi è partita la corsa per cercare di rispettare i termini. Mentre a Bruxelles ancora aspettano le ratifiche da parte di 10 Stati membri, tra cui Germania e Polonia. Senza l’ok di tutti i 27, la Commissione Europea non può cominciare a emettere i bond sul mercato per raccogliere i 750 miliardi di euro del piano. Significa che per l’estate non ci saranno risorse a sufficienza per erogare l’anticipo del 13 per cento a tutti gli Stati europei, per l’Italia 21 miliardi. E chi arriva prima col piano, prende i soldi. Gli altri dovranno aspettare.
Va detto che la scadenza del 30 aprile non è perentoria. A Bruxelles la definiscono ‘soft deadline’, scadenza morbida, diciamo così. In Commissione sanno già che, per esempio, Olanda e Finlandia non la rispetteranno. A L’Aja, Mark Rutte è ancora impegnato nelle trattative per formare il nuovo governo dopo le elezioni di marzo. Ma per entrambi i paesi ritardatari, il recovery plan non è centrale per la ripresa. Lo è invece per l’Italia, destinataria della maggior parte dei fondi del Next generation Eu, oltre 200 miliardi di euro.
Oggi il premier Mario Draghi comincia il suo giro di consultazioni con i partiti sul piano italiano per la ripresa e resilienza, inizierà da M5s e Lega, domani Pd e Forza Italia, lunedì Italia Viva e Fratelli d’Italia. Il governo cerca di spingere sull’acceleratore per chiudere il pacchetto in tempo. Confermata la presentazione del piano in Parlamento il 26 aprile da parte del premier. “L’obiettivo è di rispettare la scadenza”, ci dicono dal Mef. Il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, che oggi doveva recarsi a Bruxelles per numerosi incontri in Commissione, ha annullato la trasferta per curare prima i rapporti con i partner di maggioranza a Roma.
Non rispettare la scadenza non sarebbe un grandissimo danno, nel senso che non scatenerebbe una reazione da Bruxelles, men che meno procedure varie. Non è questo il punto. Il punto è che in qualità di beneficiaria della fetta più consistente di aiuti europei per la crisi da covid, l’Italia è caricata della responsabilità principale sul piano, la sua attuazione, la riuscita a livello nazionale ed europeo. Presentare i progetti in tempo sarebbe il bigliettino da visita minimo da esibire per cominciare a fare bella figura in ambito Ue. E soprattutto per piazzarsi in pole position e incassare l’anticipo del 13 per cento non appena sarà disponibile.
Domani alla riunione dei ministri finanziari dell’Ue (Ecofin), il ministro Daniele Franco spiegherà priorità e difficoltà del piano italiano, come farà ogni suo collega europeo. Si prevede una lunga sessione, al termine della quale la Commissaria europea Margrethe Vestager illustrerà lo stato dell’arte delle misure sugli aiuti di Stato alla luce della crisi pandemica. Ma la scadenza del 30 aprile è anche una sorta di banco di prova per l’Ue. Purtroppo, ci si arriverà senza le ratifiche di tutti gli Stati membri sulla parte che riguarda l’istituzione di nuove risorse proprie (digital tax, carbon tax, tassa sulle transazioni finanziarie), garanzia di bilancio europeo per l’emissione dei bond della Commissione Ue utili alla raccolta dei 750 miliardi del Next Generation Eu sul mercato (il 30 per cento saranno ‘green bond’).
C’è un problema in Germania, dove i giudici della Corte Costituzionale stanno esaminando un ricorso presentato dal partito di ultra-destra Afd, ma entro fine mese la pratica potrebbe essere sbloccata e potrebbe arrivare l’ok alla legge tedesca di ratifica del recovery fund. E c’è un problema in Polonia, che dall’inizio non ha mai pianificato di fare presto su questo tema: Varsavia potrebbe ratificare per maggio, dicono fonti Ue. “Ci sono problemi in alcuni Stati perché la pandemia non permette ai Parlamenti di lavorare a pieno ritmo”, dicono fonti Ecofin. La presidenza portoghese dell’Ue, in carica fino a fine giugno, auspica che per la fine del suo mandato “arriveranno tutte le ratifiche”.
Ma sarà già tardi. Inizialmente, le aspettative europee più ottimistiche puntavano a ottenere il disco verde dagli Stati entro la stessa scadenza di presentazione dei piani a fine aprile, anche se poi seguirà una specie di ‘interregno’ di due mesi, il tempo che la Commissione Ue avrà a disposizione per l’esame dei progetti. Una volta promossi, arriveranno in Consiglio Europeo per l’ok finale degli Stati membri, sempre che nessuno dei ‘frugali’ voglia usare il cosiddetto ‘freno di emergenza’ per bloccare l’erogazione di fondi su piani che non convincono. Si vedrà, ma per ora la preoccupazione maggiore a livello europeo è sulle mancate ratifiche.
Se arriveranno per la fine di giugno, la Commissione potrà emettere bond sul mercato soltanto a luglio. E, con tutte le buone speranze, non riuscirà a raccogliere un quantitativo di risorse sufficiente a soddisfare gli anticipi del 13 per cento per ogni Stato Ue. Chi avrà sbrigato prima i piani, completi dell’ok della Commissione e del Consiglio, avrà le risorse. Gli altri dovranno aspettare.