La nuova Europa che ora si sta formando a Bruxelles deve tornare a essere padrona del proprio destino e non vittima del peggio
«Il treno ha lasciato la stazione e nessuno può fermarlo». Questo è stato detto dal presidente della Serbia Aleksandar Vučić, all’interno di una intervista data alla testata svizzera Die Weltwoche. Una intervista in cui tra l’altro si sostiene che «restano tre o quattro mesi, forse anche meno, prima della catastrofe».
A proposito di treni: il 15 aprile scorso è stata comunicata alla stampa la sottoscrizione di un accordo in materia di «Military Mobility. …una iniziativa Ue finalizzata ad aumentare le capacità infrastrutturali e digitali esistenti, per assicurare la movimentazione di risorse militari, all’interno e all’esterno dell’Europa, anche con breve preavviso e su larga scala, garantendo capacità di trasporto sicure, sostenibili e resilienti» (https:/www.leonardo.com>dettail).
Sono treni che partono da stazioni diverse. La stazione russa è popolata da despoti distopici convinti che il loro futuro sia nel loro passato e nell’altrui presente. La stazione europea, una stazione troppo a lungo popolata da globalisti sonnambuli e da turisti della storia, solo oggi è allarmata dalla realtà sopravvenuta. Nell’angosciata dimensione baltica già è iniziata la distribuzione di iodio contro il rischio di nucleare.
Ma partiamo dalla prima stazione.
Il «Mein Kampf» di Hitler è stato un libro certo molto diffuso, forse poco letto, non preso sul serio, se non troppo tardi. Il «Mein Kampf» di Putin è stato pubblicato anni fa sul Financial Times ed è venuto il tempo per prenderlo sul serio. Vi si legge che il futuro della Russia è nel suo passato, un passato fatto dalla sua storia e dalla sua anima, dalla sua tradizione e dai suoi confini. Confini che oggi sono i confini dell’Europa.Si noti che il 14 giugno scorso ancora Putin ha dichiarato che «l’intero sistema di sicurezza euro-atlantico si sta sgretolando sotto i nostri occhi ed è perciò necessaria… una visione per una sicurezza equa e indivisibile, una cooperazione reciprocamente vantaggiosa ed equa, e lo sviluppo del continente euroasiatico nel prossimo futuro».
Non è dato sapere se Putin ha letto, o no, il «1984» di Orwell. È forse più probabile che abbia letto «I demoni» di Dostoevskij. E si noti tuttavia che proprio in «1984» è scritto che l’«Eurasia», estesa su tutta l’Europa continentale, sull’Asia settentrionale, sulla Turchia e sull’Asia centrale, sarà con l’«Oceania» e l’«Estasia» una delle tre superpotenze in lotta per il dominio del mondo.
Uno scenario questo in cui, se anche a seguito delle prossime elezioni americane la guerra in Ucraina si interrompesse, ad esempio con una formula «coreana», la Russia di Putin non ne risulterebbe indebolita o fermata, trovando anzi in questo un suo diverso ed ancora più vasto campo di potere.
Potrebbe non essere così, potrebbe essere diverso, ma solo se l’Europa cambiasse e cambiasse da subito la sua politica e la sua struttura. Sul futuro dell’Ue sono appena stati scritti numerosi «Rapporti», ma tutti sviluppati dal lato economico ed in specie e tanto per cambiare dal lato del mercato, non dal lato politico. Ed è invece proprio questo oggi il lato giusto della storia.
Finora l’Ue si è concentrata su di una politica di lento e progressivo allargamento da ovest verso est. Ma oggi anche la Russia sta facendo il suo allargamento, pur se nella direzione opposta: da est verso ovest! Per l’Ue non è dunque più il tempo dell’allargamento, è venuto il tempo dell’unione: unione da nord a sud e da ovest ad est: «all in», rinviando a dopo i cosiddetti «compiti a casa». Fare questo non è facile, ma è necessario, perché seguitando nella logica graduale, benevola e paternalistica del vecchio allargamento sarà troppo facile che tra Stati inclusi e Stati in lista d’attesa vengano ad introdursi e siano sfruttati proprio dalla Russia elementi di delusione e di divisione, a partire dai Balcani «un luogo in cui si produce più storia di quella che si consuma in loco e perciò la si esporta» (Churchill).
Certo, deve cambiare la struttura costituzionale dell’Ue, con sistemi di voto che superano il sistema dei veti. Certo deve cambiare anche il software politico europeo, rispettando tradizioni che a est non sono ancora allineate alla modernità dell’ovest. Ma ne vale la pena. Papa Francesco nel suo discorso all’ Università di Budapest, guardando il Danubio, ha parlato proprio dei ponti come simbolo della necessaria unione delle culture europee.
È questo un momento in cui l’unione vale più della perfezione. Cinque anni fa, ed era un tempo che pareva ancora quieto, in «Le tre profezie» (Solferino, 2019), ho scritto: «Lo spirito del tempo è radicalmente mutato, e non in meglio: nell’atmosfera che in questi anni si è venuta creando è infatti cresciuto e cresce il rischio, non solo economico ma anche politico, che la situazione vada “fuori controllo”». È per tutto quanto sopra che oggi è più che mai necessario e possibile che, come è stato per la prima, così la nuova Europa che ora si sta formando nei palazzi di Bruxelles torni ad essere padrona del suo destino e non vittima del peggio.