Non è azzardato dire che le leadership sia del Pd, sia dei Cinque Stelle sono percepite come precarie. Schlein e Conte appaiono assediati al loro interno
La costante delle sconfitte delle opposizioni anche in elezioni «minori» come le amministrative in Molise riflette ormai una tendenza nazionale. In passato, il Pd aveva mostrato una certa solidità nel voto locale, almeno in alcune zone del Paese, a differenza del centrodestra. E i Cinque Stelle avevano cominciato la loro «corta marcia» verso il potere proprio partendo da vittorie-vetrina come quelle di Roma e Torino, nel 2016; e senza teorizzazioni di «campo largo» o meno; senza alleanze offerte come potenzialmente vincenti.
Dopo le Politiche del 25 settembre dello scorso anno, la collezione di disfatte sta diventando invece corposa. E non è azzardato dire che le leadership sia del Pd, sia dei grillini sono percepite come precarie. La segretaria Elly Schlein e l’ex premier Giuseppe Conte appaiono assediati all’interno delle rispettive formazioni. Per Schlein non si parla di candidature alternative: perché ha vinto il congresso, e perché la classe dirigente di prima si è inabissata dopo la sconfitta, sovrastata dalla mutazione in atto nel partito.
Decifrare le dinamiche grilline è meno facile. Ma il crollo che le urne registrano di volta in volta mette in discussione la guida di Conte: anche se i sondaggi nazionali danno il Movimento intorno a un virtuale 15 per cento. Per questo affiorano nomi come quelli delle ex sindache di Torino, Chiara Appendino, o di Roma, Virginia Raggi nelle vesti di «anti-Schlein». Ma appaiono come un’eco del passato: come nostalgie di trionfi ingialliti. In più, i contendenti devono fare i conti con la spregiudicata capacità di sopravvivenza di Conte.
Il problema è che anche unendosi, Pd e M5S si mostrano drammaticamente minoritari. La linea «unitaria» di Schlein erode consensi in quell’area. Legittima il Pd di piazza, si tratti di quella sindacale o dei Gay pride. Ma non conquista voti oltre i recinti più radicali. Lo candida a prima forza d’opposizione alle Europee del 2024, con un’agenda a rimorchio di una serie di spezzoni della società; ma alla testa di un partito snaturato e disancorato da quelle istituzioni di cui veniva considerato interlocutore, quando non portavoce.
D’altronde, la sinistra incrocia una stagione culturale nella quale non solo nuota controcorrente: fatica a stare a galla per difetto di analisi. I tentativi di ritrovare punti di riferimento si scontrano con un mondo del lavoro profondamente mutato. Non è dunque questione di allearsi con i grillini o con un «Terzo polo» sempre più esangue. Gli uni e l’altro sono parte di una disintegrazione del sistema politico, alla quale l’elettorato risponde con l’astensione o con uno sguardo rivolto inesorabilmente altrove, a destra.