Fonte: Corriere della Sera
La prima volta alle urne e la scheda come un biglietto d’amore: «Obbediranno al prete o al marito?». Il debutto alle Amministrative del 1946
«Stringiamo le schede come biglietti d’amore». Non c’è testimonianza che ricordi cosa fu per le donne italiane il loro primo voto, esattamente settant’anni fa, quanto le parole di Anna Garofalo in L’italiana in Italia scritto per Laterza nel ’56: «Lunghissima attesa davanti ai seggi. Sembra di essere tornati alle code per l’acqua, dei generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto a quel nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore…».
Le promesse (mancate) di Mussolini
ra tantissimo tempo che aspettavano. Molto più delle donne del mondo anglosassone. Nonostante fossero state tante le italiane, da Cristina Trivulzio di Belgiojoso a Rosalia Montmasson, ad aver avuto una parte attiva nel Risorgimento. Nonostante la Petizione delle donne lombarde nel 1861 avesse ammonito che «per rendersi libera» l’Italia doveva puntare sulla «affermazione la più larga possibile dell’emancipazione della donna». Nonostante Mussolini nel 1923 si fosse impegnato «a concedere il voto a parecchie categorie di donne iniziando dal campo amministrativo» per fissare poi paletti assurdi («Siano decorate di medaglia al valor militare o croce di guerra… Siano decorate di medaglia al valor civile… Siano madri di caduti in guerra…») subito saltati con l’abolizione delle elezioni. Niente da fare: donne straordinarie come Grazia Deledda avevano potuto vincere il Nobel: ma non votare.
Le elezioni «comunali» d’aprile
Immaginate dunque l’emozione, per milioni di italiane, chiamate per la prima volta a dire la loro nella tornata di «comunali» dalla seconda domenica di marzo all’ultima di aprile di quel ‘46. E immaginate il loro sconcerto davanti all’accoglienza per questo passaggio storico da parte di una società maschile legata a vecchi proverbi insulsi sulle virtù della femmina: «Che la piasa, che la tasa, che la staga a casa».
Certo, il giorno dopo il varo della legge, i commenti erano stati positivi. Anche perché era obbligatorio uno scarto col fascismo che fino all’ultimo, mentre tante donne sceglievano la guerra partigiana, aveva visto volontarie accorrere a Salò con lo slogan «La nostra arma non è il cannone ma lo spazzolone».
I commenti dell’epoca
In prima pagina sull’Unità del 31 gennaio 1945, dominata dai titoli «Le donne voteranno» e «A 116 km da Berlino» sul crollo della Germania nazista, un commento anonimo diceva: «Una ventata di sano buon senso entrerà senza dubbio nella vita politica, e nella vita amministrativa con le donne entrerà un maggior spirito di concretezza ed un maggior senso pratico». Di più: «Una grande elementare onestà».
Sbrigata la pratica ineludibile già risolta altrove da decenni, però, rimasero sottopelle tutti i più triti e ritriti pregiudizi. E quando arrivò sul serio «il voto del gentil sesso» entrò nei cinegiornali Luce dell’epoca come una curiosità alla pari con il canguro albino o il matrimonio della capricciosa diva hollywoodiana. Con le immagini della ottantenne spaurita davanti alla novità: «Da oggi le donne possono votare. Dalle più umili donne del popolo alle monache tutte sentiamo questo nuovo dovere che ci fa partecipi della rinata democrazia».
Le divisioni nelle famiglie
Indimenticabile il reportage da Lodi di Egisto Corradi: «Le donne, in quanto mogli, voteranno agli ordini del marito? “No — dice lei — il voto lo do ai preti”. “No — ribatte lui — il voto lo dai al mio partito”. “No, no — insiste la moglie — voto per i preti». «Ed io ti dico di votare per i socialisti. Chi ti mantiene, infine, ti mantengo io o ti mantiene Don Luigi?”».
Un capolavoro. Ripreso anni dopo dallo storico Mario Isnenghi in una canzone scritta con Gualtiero Bertelli dove il parroco veneto conclude la predica così: «E perciò scoltème, femene / credo d’avervi dimostrato / che chi non vota scudocrociato / fa un grandissimo pecca’…/ Lo vol Dio, lo vol la Ciesa…». Finale: «E no stè badarghe ai omeni / sé cristiane, ascoltè me».
Non mancarono, avrebbe raccontato Lia Levi nel libro Se il Re se ne va, raccomandazioni eccentriche: «Un avvertimento martellante alle signore rimbalza tra i giornali di tutti gli schieramenti politici: attenzione “all’orma del rouge”! attenzione al rossetto! “Quando la signora o la signorina inumidisce la scheda per sigillarla, potrebbe giocare loro qualche brutto tiro. Potrebbe lasciare un segno rosso, una sbavatura, una macchia tanto insomma quanto basta per annullare la validità del voto”».
Il disinteresse dei giornali
Perfino sull’organo del Pci nel quale si riconoscevano molte delle donne più combattive, però, la lettura della innovazione epocale non fu poi così diversa. «Oggi, per la prima volta dopo 26 anni, il popolo sarà di nuovo chiamato ad eleggere democraticamente i suoi rappresentanti», spiegava il commento del giorno tanto atteso, «Crollato nella vergogna e nell’ignominia il fascismo, da oggi i liberi Comuni torneranno al popolo…». Non una riga sul primo voto delle donne. Non una, stando al resoconto, nell’ultimo comizio di Palmiro Togliatti. Non una nel reportage da Grosseto intitolato «Pronostici al caffè e comizi sotto la pioggia» dove Marco Cesarini descriveva uno ad uno i manifesti elettorali compreso «quello del prefetto che proibisce per tutta la giornata di domani la vendita di vino e bevande alcooliche: evidentemente democrazia ed enologia non vanno d’accordo». Più divertente, sull’Unità dedicata due giorni dopo ai risultati (accanto a un commento di Mario Alicata con una riga annegata in un diluvio di parole: «Altissima, dappertutto, la percentuale di donne»), il secondo reportage da Grosseto. Titolo: «Le donne escono dalla messa e vanno a votare per i comunisti».
La reazione delle donne
Immortale, nelle sue spiritosaggini, l’elzeviro di Marino Moretti («codeste donnette si guardavano bene dal parlare del fatto del giorno, dato che il fatto del giorno non era una somministrazione supplementare o ritardata di pasta o di riso…») che a proposito di quella folla di ragazze, mamme, nonne, operaie, impiegate, suore che finalmente esercitavano il loro diritto, scrisse: « Le donne erano in prevalenza e a me pareva d’essere… il solo gallo in un arruffato pollaio».
Ma il senso della giornata, che vide gioire insieme uomini e donne dopo vent’anni di dittatura e dopo la guerra, è ancora nelle parole di Anna Garofalo: «Orgia di cartelli elettorali sui muri, fervore di comizi, discussioni accanite nei locali pubblici, ad ogni cantone, in ogni mercato o piazza. È bello veder riprendere vita a un organo anchilosato: il cervello».