Fonte: Corriere della Sera
di Sergio Rizzo
Virginia Raggi, nuovo sindaco di Roma, ha addosso gli occhi del mondo intero, e nella capitale, il M5s non può permettersi passi falsi
Compromesso è una parola che nel vocabolario del Movimento 5 Stelle non figura. Perfino i rapporti con gli altri partiti sono in linea di principio banditi, quando non lo è addirittura la dialettica interna. Però questa è una regola naturale, comune a tutte le forze che si propongono di rivoluzionare il sistema. Quello che accade oggi nella formazione politica fondata da Beppe Grillo con Gianroberto Casaleggio ricorda da vicino le dinamiche di certa sinistra extraparlamentare degli anni Settanta, fatte le debite differenze. Ma un conto sono i comizi dall’opposizione contro gli inceneritori e la Tav, un altro conto è governare. Mette di fronte a fatti come l’accoglienza tributata dalla Borsa ai sindaci grillini in un giorno euforico a Piazza Affari: un calo del 4,7% delle azioni della romana Acea e del 3,5% della torinese Iren. E servono risposte. Chiara Appendino e Virginia Raggi hanno tuttavia un vantaggio: non dovranno scendere a compromessi almeno nella coalizione. Che non esiste. Per la prima volta a Torino e Roma regna un partito solo e monolitico, il che elimina il turpe mercato delle vacche post elettorale: una nomina a Caio, un ente a Tizio, una sagra a Sempronio. Qui si annidava il germe della pessima amministrazione, ed era ora che finisse.
Ma non si illudano che il capitolo dei compromessi finisca qua. Ben altri se ne devono affrontare governando sistemi complessi quali sono le metropoli di Roma e Torino. Tanto più considerando che Virginia Raggi ha vinto con il voto di appena un terzo degli elettori romani e Chiara Appendino con quello di poco più di un quarto dei torinesi.
Il problema di Roma ha dimensioni decisamente più grandi rispetto a Torino, non soltanto per lo stato pietoso in cui versa la Capitale. Virginia Raggi ha addosso gli occhi del mondo intero, e a Roma il M5s non può permettersi passi falsi. Perché dal successo o dal fallimento della prima prova di governo con seri riflessi nazionali dipenderanno le possibilità di giocarsi la prossima sfida per Palazzo Chigi. Per questo è importante capire qual è il confine accettabile del compromesso.Segnali ne sono già arrivati. In campagna elettorale Virginia Raggi ha rassicurato tutti. Tassisti, autisti dell’Atac, dipendenti comunali e delle municipalizzate. Ma tenere fede a troppe rassicurazioni potrà comportare l’impegno a non turbare lo status quo. Del resto il direttore dell’Atac Marco Rettighieri, che l’aveva messo in discussione scontrandosi con il sindacato, ha già le valigie pronte.
Così anche il presidente dell’Ama Daniele Fortini, ma per ragioni diverse. Il futuro assessore all’Ambiente viene dalla sua azienda, dove ha lavorato per dieci anni, e di cui è consulente. Una scelta indicativa del compromesso che si profila sul tema più sensibile per il Movimento. Paola Muraro non si è mai pronunciata contro gli inceneritori, che i grillini vedono come il demonio. Al punto da non poter escludere che le difficoltà del sindaco di Parma Federico Pizzarotti siano iniziate quando ha perso la battaglia contro l’inceneritore locale, perché di proprietà della Provincia.
Roma però non è Parma. E il futuro assessore sa fare il suo lavoro: tanto basta, a dispetto dei tabù inviolabili. Perché a chi volesse mettere in seria difficoltà una giunta appena eletta sarebbe sufficiente bloccare la raccolta per un giorno, o fermare il flusso dei 180 (centottanta!) Tir che quotidianamente portano l’immondizia romana agli inceneritori del Nord. Precipitando la Capitale nella crisi. Non c’è nemmeno un sito di stoccaggio provvisorio per le emergenze: il progetto è bloccato da due anni e mezzo alla Conferenza Stato-Regioni. Ecco anche spiegate le tante cautele con cui è stata gestita questa faccenda prima e durante la campagna elettorale. Per non parlare delle accortezze che hanno fruttato ai grillini la silenziosa alleanza dei sindacati interni, fino alla potentissima Cisl. Riaccendendo addirittura le speranze di rientrare in gioco mai abbandonate da Manlio Cerroni, il re di Malagrotta messo all’angolo da Ignazio Marino.
Come dimostrato dalla crisi di Napoli del 2008, i rifiuti possono bruciare intere generazioni politiche. E gli avversari godrebbero nel vedere i grillini, duri e puri, infilzati dalla stampa internazionale perché Roma affoga nell’immondizia. Addio luna di miele con i romani, addio alle ambizioni di puntare ancora più in alto, e magari addio anche alle Olimpiadi…