25 Febbraio 2025

La difesa comune è questione più scottante per l’Unione. E su questo fronte Merz si è già schierato

l voto tedesco dovrebbe porre fine a un lungo periodo di debolezza e tentennamenti della Germania in Europa. Sulla questione oggi più scottante dell’agenda — ossia la difesa comune — l’attivismo e le proposte di Macron non possono certo bastare. Il buon risultato elettorale di Friedrich Merz apre spazio alla ripartenza del motore franco-tedesco. Indispensabile, come fu durante il Covid, per promuovere nuove forme di condivisione dei rischi e assicurare in modo autonomo la sicurezza collettiva.
L’inaspettata «intesa cordiale» fra Trump e Putin ci costringe a considerare scenari estremi. Che cosa succederebbe, ad esempio, se la Russia minacciasse esplicitamente di attaccare un Paese Ue al confine orientale? L’art 42.7 del Trattato di Lisbona vincolerebbe gli altri Paesi membri ad assisterlo «con tutti i mezzi a loro disposizione», un obbligo ancora più esigente rispetto all’articolo 5 della Nato. Com’è noto, la Ue non dispone di un esercito comune né di una infrastruttura di coordinamento e comunicazione (sicura) per operazioni militari. Certo, potremmo appoggiarci alla Nato. Ma avremmo bisogno del «permesso» americano. E non è scontato che Trump, Comandante in capo delle forze armate Usa, ce lo darebbe. In tal caso, dovremmo istituire in fretta e furia un centro e una catena di comando multinazionali.Ma chi deciderebbe la linea politica, quale voce parlerebbe a nome della Ue? Il Consiglio europeo a 27? La Presidenza «trina» formata da Antonio Costa (Consiglio europeo), Ursula von der Leyen (Commissione) e Kaja Kallas (Alta Rappresentante)?
Nel suo recente discorso al Parlamento europeo, Mario Draghi ha esortato l’Europa a comportarsi «come uno Stato». In epoca moderna, sono state proprio le guerre a facilitare il rafforzamento della statualità. Finora tuttavia la crisi ucraina non ha spinto in questa direzione. La Ue è nata come unione di stati nazionali, interessati a integrarsi per rafforzare se stessi. I Padri Fondatori volevano eliminare il rischio di nuove guerre intra-europee e rendere i propri Paesi più prosperi grazie al mercato comune. La prospettiva di un super-stato sovranazionale ha sempre suscitato diffidenza, se non paura. Il Regno Unito è uscito dalla Ue anche per questo.
La statualità non è però un pacchetto indivisibile, da adottare in blocco. È piuttosto un insieme di attributi, che si possono acquisire in modo selettivo e graduale. Ciò di cui ha bisogno oggi la Ue è un’«isola» di governo comune nel settore della sicurezza, capace di far prevalere la logica dell’insieme. L’ultimo quindicennio ha mostrato che le situazioni di crisi creano un terreno fertile per il rafforzamento del centro. Con il suo famoso whatever it takes, fu proprio Mario Draghi ad avviare questo processo, trasformando di fatto la Bce in una rete protettiva dei debiti sovrani nazionali. L’incremento di statualità è accelerato poi durante la pandemia.
Molte delle soluzioni adottate dalla crisi dell’euro in poi si sono ispirate a idee, proposte ed esperimenti già lanciati in fasi precedenti dell’integrazione. Sul terreno della sicurezza esiste un precedente importantissimo: il tentativo, nei primi anni Cinquanta di creare una Comunità europea della difesa (Ced) fra i sei Paesi fondatori. Le condizioni di oggi sono molto diverse, ma il Trattato siglato nel 1952 fornisce spunti ancora attualissimi. Esso prevedeva un esercito europeo, finanziato tramite un bilancio comune, con una struttura di comando sovranazionale. La guida politica sarebbe stata affidata ad un «Commissariato» di nove membri (fra cui un presidente), autorizzati a decidere a maggioranza.
Il Trattato fu ratificato da quattro Parlamenti (Olanda, Belgio, Lussemburgo, Germania). L’Italia voleva aspettare la Francia, ma il Parlamento di Parigi votò per sospendere la ratifica sine die (1954). Così la Comunità europea di difesa non vide mai la luce.
Sono in molti a pensare che le disposizioni del vecchio Trattato Ced potrebbero servire come punto di partenza per la creazione di una Unione europea di difesa. L’ostacolo principale resta il requisito dell’unanimità, difficile da aggirare anche attraverso lo strumento delle cooperazioni rafforzate. Secondo alcuni studiosi (fra cui Federico Fabbrini e Sylvie Goulard) la via più semplice e rapida sarebbe, appunto, quella di resuscitare il vecchio Trattato. Basterebbe la ratifica dei due Parlamenti mancanti, quello francese e quello italiano.
Fantapolitica? Solo fino a un certo punto. La disponibilità di un testo di partenza fornirebbe una leva per orchestrare il consenso. A differenza di Scholz, Merz si è già schierato a favore della difesa comune, mostrando disponibilità anche verso il finanziamento Ue a debito. I riflettori sono oggi puntati sull’avanzata di Afd. Ma non dimentichiamo che la stragrande maggioranza dei tedeschi hanno premiato i partiti pro-integrazione. I tempi per formare un governo di coalizione non saranno brevi. Il solo fatto che la Germania abbia confermato la scelta europea è tuttavia un segnale politico di enorme importanza non solo per l’Unione, ma anche per Trump, Putin e il bistrattato Zelensky.

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