Fonte: Huffington Post
di Giulia Belardelli
Roma verso il razionamento dell’acqua: ipotesi turni per un milione e mezzo di romani, otto ore al giorno di stop
Impreparata a un’emergenza annunciata. Appare così l’Italia che, nel bel mezzo dell’estate, si scopre vittima della siccità, con due terzi della Penisola a secco, almeno dieci Regioni pronte a chiedere lo stato di calamità naturale e piani di razionamento dell’acqua a Roma e in altri centri urbani. Il caldo e le scarse piogge stanno mettendo a dura prova il quadro, già critico, di una rete idrica su cui pesa il peccato capitale della dispersione. Secondo l’Istat, infatti, quasi il 40% dell’acqua potabile immessa nelle reti di distribuzione non raggiunge i cittadini. Una percentuale di dispersione che vale 139 litri a persona, buttati via ogni giorno, a fronte di un consumo medio procapite giornaliero di circa 245 litri.
Eppure, malgrado questi dati siano noti già dal 2015, si è fatto poco o nulla per evitare di arrivare a misure estreme quali il razionamento. Nei mesi gli appelli degli ambientalisti sono rimasti inascoltati: le temperature record e le scarse piogge registrate quest’anno rientrano perfettamente nelle previsioni di chi da tempo mette in guardia sugli effetti del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, fenomeni noti da anni ma solo adesso percepiti in tutto il loro potenziale distruttivo.
Ora che il problema è sotto gli occhi di tutti, resta il deserto di soluzioni che non sono state pensate né testate per tempo. Così non ci resta che correre ai ripari e contare i danni. In due terzi della Penisola i campi sono a secco, con danni all’agricoltura che la Coldiretti stima sopra i due miliardi di euro. Almeno dieci Regioni stanno per presentare – o hanno già presentato, come il Lazio – la richiesta di stato di calamità naturale al ministero delle Politiche agricole, una misura che prevede, per le aziende, la sospensione delle rate dei mutui, il blocco dei pagamenti dei contribuiti e l’accesso al Fondo per il ristoro danni. Le perturbazioni attese per i prossimi giorni, soprattutto al Nord, non bastano ad alleviare la situazione.
Nella Capitale continua il rimpallo di responsabilità tra Regione Lazio e Comune, per in interposta società controllata. Il piano di Acea per fronteggiare la crisi idrica, una volta che saranno sospesi i prelievi dal lago di Bracciano ordinati dalla Regione, prevede turni di otto ore senza acqua ogni giorno per circa un milione e mezzo di romani. Lo stop dell’acqua potrebbe concretizzarsi la notte o la mattina per turni in ogni quartiere o municipio. Acea spiega che non è ancora stabilito da quale punto della città si comincerà né precisamente la durata dello stop, che potrebbe iniziare dopo venerdì 28 luglio, giorno in cui partirà la sospensione delle captazioni dal lago di Bracciano.
Un incontro tra la Regione e l’azienda per trovare soluzioni alternative non sarebbe ancora stato fissato, ma si attendono contatti per definire il da farsi anche in seguito all’auspicio della sindaca di Roma Virginia Raggi all’insegna della collaborazione per garantire l’acqua alla città. Il piano Acea comporterebbe la tutela di ospedali, vigili del fuoco e delle altre attività sensibili, ma è innegabile l’enorme disagio che il razionamento provocherebbe ai tanti rimani rimasti in città.
Contro la multiutility si scaglia il deputato Pd Emiliano Minnucci, già sindaco di Anguillara, che lancia un pesante j’accuse al presidente operativo di Acea Ato 2. “Invece di rilasciare dichiarazioni a mezzo stampa e accusare la Regione Lazio di lasciare la Capitale senz’acqua, Paolo Saccani dovrebbe iniziare a trovare le giuste soluzioni al fine di garantire il normale servizio idrico a tutti i suoi utenti”. Accuse che da Saccani si estendono automaticamente alla sindaca Raggi. Il deputato dem rivendica che il Pd ha messo in campo “molte iniziative in questi mesi al fine di mettere in evidenza il problema del Lago di Bracciano, invocando un intervento urgente per evitare il disastro ambientale. Né queste iniziative né tanto meno le immagini impietose del bacino, a testimonianza del progressivo deterioramento dell’ecosistema lacustre, hanno smosso Acea che, forte del silenzio assenso della Raggi, ha continuato i suoi prelievi creando l’attuale crisi ambientale e idrica che investe sia il lago di Bracciano che la Capitale”.
Ora – prosegue Minnucci – “invece di arrampicarsi sugli specchi scaricando responsabilità sulla Regione Lazio, la coppia Saccani/Raggi ha il dovere di fare un serio esame di coscienza e intraprendere tutte quelle iniziative utili al fine di dotare Roma e la sua Area Metropolitana di un’adeguata rete idrica. I soldi Acea ce l’ha: iniziasse a investirli per ridurre quella dispersione idrica che rappresenta la più grossa causa del problema a Roma. Altro che ipotesi di 8 ore al giorno senz’acqua”.
La Raggi, intanto, tace. Della crisi idrica non parla né con la stampa né sui social network, dove è solitamente molto attiva. Le associazioni ambientaliste, a partire da Legambiente, danno ragione alla decisione di Zingaretti di interrompere i prelievi dal lago. “È un atto necessario per salvare il lago”, afferma la branca del Lazio dell’associazione ambientalista. “Ora si inizi a prevenire l’emergenza. Subito al lavoro per una diversa gestione della risorsa idrica e il Comune di Roma si attivi per un piano di adattamento al clima per tutta l’area urbana”.
Ma l’emergenza non riguarda solo la Capitale: a soffrire la sete sono i due terzi del territorio italiano, con almeno dieci Regioni che stanno per chiedere (o hanno già chiesto, come il Lazio) lo stato di calamità naturale. Pesantissimo l’impatto economico che la siccità sta determinando sul fronte dell’agricoltura: ammontano infatti complessivamente a oltre due miliardi di euro, secondo un’analisi della Coldiretti, i danni alle coltivazioni e agli allevamenti, mentre la produzione nazionale di latte è crollata del 15%.
I danni sono ingenti in tutti il Paese: è come se l’Italia si stesse prosciugando, impreparata di fronte a un’emergenza già scritta. Il Lago di Garda, ad esempio, è appena al 34,4% di riempimento del volume, mentre il fiume Po al Ponte della Becca a Pavia è circa 3,5 metri sotto lo zero idrometrico. “Lo stato del più grande fiume italiano è rappresentativo dello stato idrico sul territorio nazionale dove circa i due terzi dei campi coltivati lungo tutta la Penisola sono senz’acqua e per gli agricoltori – sottolinea la Coldiretti – è sempre più difficile ricorrere all’irrigazione di soccorso per salvare le produzioni”.
Le perdite provocate dalla siccità in Lombardia ammontano a circa 90 milioni di euro, i due terzi dei quali legate a perdite produttive su mais e frumento, spiega Coldiretti. In Piemonte a soffrire sono soprattutto le province di Cuneo, Asti e Alessandria dove il forte caldo di questi giorni, oltretutto, sta aggravando la situazione idrica degli alpeggi. La campagna cerealicola sta facendo registrare rese inferiori del 30%, per le coltivazioni foraggiere è andato a compimento solo il primo taglio con danni almeno del 50%.
Non va meglio al Veneto, con la Regione che, dal mese di aprile a oggi, ha emesso tre ordinanze sullo stato di crisi per siccità allo scopo di contingentare l’acqua. “In Trentino Alto Adige la produzione del primo taglio di fieno è stata falcidiata del 30%, ma la siccità – dichiara la Coldiretti – ha fatto ulteriori danni dopo quelli, gravissimi, provocati dalle gelate con perdite anche del 100% in alcune aziende frutticole”.
Lo stato di “sofferenza idrica” è stato sancito dalla Regione in Friuli Venezia Giulia, mentre la dichiarazione dello stato di emergenza riguarda le zone di Parma e Piacenza in Emilia Romagna dove si registrano danni, soprattutto a pomodoro da industria, cereali, frutta, ortaggi, barbabietole e soia, per oltre 100 milioni di euro secondo la Coldiretti ai quali se ne aggiungono altri 50 per i nubifragi, le grandinate e il vento forte.
Oltre 200 milioni di euro è la stima dei danni da siccità all’agricoltura stimati dalla Coldiretti in Toscana dove la Regione ha dichiarato lo stato di emergenza. Solo la perdita di prodotto per grano tenero e duro è valutata in circa 50 milioni di euro; altri 35 milioni sono i danni al mais, altre foraggere e girasole, ma guasti da quantificare sono destinati a riguardare anche i vigneti e gli oliveti. Danni stimati approssimativamente in oltre 60 milioni di euro dalla Coldiretti in Umbria.
Nel Lazio le criticità maggiori si registrano a Latina dove sono compromessi fino al 50% i raccolti di mais, ortaggi, meloni, angurie. Complessivamente i danni – tra investimenti sostenuti per le semine, aggravio di spese per gasolio o corrente per irrigare, mancata produzione diretta di foraggio per gli allevamenti e mancato reddito – si attestano tra 90 e i 110 milioni di euro secondo la Coldiretti.
La lunga siccità ha messo a dura prova le province della Campania dove la Regione ha chiesto al Governo di dichiarare lo stato di calamità naturale. La Coldiretti stima che i danni possano ammontare a circa 200 milioni di euro. In Abruzzo, nella sola Marsica che contribuisce a generare il 25% del Pil agricolo con 13mila ettari coltivati, si stimano perdite di ricavo, legate alla produzione orticola, all’olivicoltura e alla zootecnia, di circa 200 milioni di euro. In totale la stima dei danni tra maggiori costi e minore produzione raggiunge secondo la Coldiretti i 310 milioni di euro in Calabria, con la Regione che ha avviato le procedure per la richiesta al ministero delle politiche Agricole il riconoscimento della calamità. In Sardegna nel Sulcis-Iglesiente 4 mila aziende agricole sono rimaste praticamente senz’acqua a causa della siccità e degli incendi e la Coldiretti ha stimato nell’Isola una riduzione del 40% delle produzioni agricole e quantificato in 120 milioni di euro le perdite per tutti i settori agricoli.
In serata Arturo Scotto, deputato di Mdp, chiede che la crisi arrivi in Parlamento. “Il 60% dei campi sono a secco, la città di Roma dovrà razionare l’acqua, il mezzogiorno è devastato dai roghi. Penso che non sia più rinviabile una sessione parlamentare su questa crisi di sistema che sta cambiando il nostro ecosistema, mutando il nostro paesaggio e determinando una crisi produttiva e turistica senza precedenti. Abbiamo il dovere di individuare soluzioni e di programmare una piano di cinque anni di cura del territorio e di riassetto idrogeologico. La priorità de nostro tempo è questa. Il resto sono chiacchiere”. Un richiamo ad amministratori e politici: che il ritardo già accumulato non diventi una scusa per continuare a non agire.