19 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Francesco Guerrera

I fondi per l’ambiente diventeranno circa 53mila miliardi nel 2025. Ma resta il rischio “greenwashing”

“Segui i soldi”. Il consiglio un po’ brusco di uno dei miei primi capi quando gli chiesi come fare il giornalista finanziario offre una prospettiva diversa, e più ottimista, sull’esito del Cop26.
A prima vista, la dichiarazione finale del summit di Glasgow è un compromesso deludente, diluito da una futile battaglia tra paesi sviluppati che hanno buone intenzioni ma pochi soldi e un blocco emergente che non vuole smettere d’inquinare per paura di distruggere le proprie economie. Ma se lasciamo da parte le dichiarazioni vaghe delle 197 nazioni presenti al Cop26 e guardiamo dove stanno andando i soldi di governi, investitori e aziende, vedremo emergere un’altra narrativa.
Gli ultimi decenni di discussioni, interventi e progetti sul clima hanno innescato una serie di cambiamenti strutturali, progressi scientifici e innovazioni finanziarie che manterranno la pressione su questo tema nonostante il grande divario tra i paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.
Questa dinamica è alimentata da fiumi di investimenti provenienti da Wall Street, la City di Londra, Tokyo e persino Shanghai. Le banche d’affari, i grandi fondi d’investimento e le multinazionali hanno deciso di scendere in campo in questa battaglia non, sia ben chiaro, per altruismo ma perché hanno capito che salvare il pianeta è un bel business.
L’esempio più eclatante di questo trend viene dall’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili. Dal summit climatico di Parigi nel 2015, più di 2.200 miliardi di dollari sono stati spesi da aziende, fondi d’investimento e governi per rendere più efficiente l’energia generata da sole, vento e batterie, secondo un’analisi di Bloomberg.
Il risultato è che le energie “pulite” non sono più un lusso riservato a un gruppetto di paesi occidentali e sono diventate un rivale serio ai combustibili fossili in gran parte del mondo. Non è un caso che, all’inizio del Cop26, paesi come l’Indonesia, il Vietnam e la Polonia abbiano promesso di eliminare (gradualmente) il carbone dalla loro rete energetica.
Accanto a loro, grandi istituzioni finanziarie internazionali — tra cui l’Hsbc, la grande banca britannica, e il gigantesco fondo Fidelity International — si sono impegnate a non finanziare più progetti basati sul carbone.
La stessa tendenza è visibile nel settore della mobilità. La tecnologia e le agevolazioni finanziarie hanno ridotto drasticamente il prezzo di veicoli ibridi e elettrici negli ultimi anni. In Europa, questa categoria rappresenta il 17% delle nuove auto vendute quest’anno, mentre a livello mondiale, il numero di auto “pulite” quasi raddoppierà nel 2021, raggiungendo circa 5.6 milioni di veicoli.
Quando parlo con banchieri ed investitori, è quasi possibile vedere il simbolo verde del dollaro nelle loro pupille quando parlano delle redditizie prospettive di nuove industrie quali l’acciaio e l’idrogeno “verdi”.
Per loro, i soldi non sono un problema perché i fondi pensione, le assicurazioni e i piccoli investitori non fanno altro che dargli denaro da mettere in investimenti “puliti”. Per ora, i fondi legati all’Esg (environmental, social, governance), ovvero investimenti responsabili, sono intorno ai 38.000 miliardi di dollari ma nel 2025 raggiungeranno 53.000 miliardi, quasi un terzo di tutti i patrimoni gestiti.
Per trasformare questa marea di denaro in un circolo virtuoso in cui gli enormi fondi vengono distribuiti dove ce n’è più bisogno, o dove i governi sono particolarmente recalcitranti come l’India e la Cina, ci sarà bisogno di regole chiare. La pratica del “greenwashing”, l’ambientalismo di facciata che in realtà non fa nulla, è un problema serio e diffuso.
In questo, la Cop26 ha fatto alcuni progressi, con la creazione di un mercato per il carbone, in cui chi inquina, come le compagnie aeree, deve pagare chi si impegna a ripulire il Pianeta.
Tutto ciò potrebbe non bastare ad evitare la catastrofe climatica, soprattutto se a luci spente, certi paesi, aziende e banche continueranno a fare come gli pare.
Ma è interessante notare che proprio a partire da Glasgow, la patria del profeta del libero mercato Adam Smith, il sentiero dei soldi potrebbe portare ad un futuro più pulito.

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