Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Gaggi
Le primarie dei democratici trasformate in farsa da una procedura macchinosa alla quale un’organizzazione di partito approssimativa e pasticciona ha sovrapposto a casaccio strati di tecnologia non adeguatamente testati
Andrew Yang, il giovanissimo candidato-tecnologo, aveva stupito quando, nell’appello finale ai suoi fan, la rumorosa setta soprannominata Yang Gang, aveva chiesto di portare a votare per il caucus dell’Iowa «ogni vecchina che avete aiutato ad attraversare la strada, anche chi non vuole votare: dategli una botta in testa e portateli al seggio facendoli sembrare svegli». Il suo linguaggio era stato stigmatizzato come aggressivo e persino la moglie, Evelyn, gli aveva detto di darsi una calmata. Ma Andrew, col suo gusto del paradosso e il suo stile surreale, stava solo cercando di denunciare l’assurdità di un processo elettorale macchinoso e arcaico che ha più volte criticato durante la campagna. Un processo mai riformato dall’Iowa per mantenere la patina storica che ha fin qui consentito a questo Stato sperduto nelle grandi pianure americane di giocare un ruolo centrale, da apripista, nelle elezioni presidenziali americane. Una procedura macchinosa alla quale un’organizzazione di partito approssimativa e pasticciona ha sovrapposto a casaccio strati di tecnologia non adeguatamente testati. Il partito democratico è celebre per gli autogol organizzativi ma quanto avvenuto in Iowa supera ogni immaginazione: un disastro annunciato, una dimostrazione di inefficienza che si è tradotta in uno straordinario regalo per Donald Trump che, infatti, ha subito messo alla berlina i suoi avversari.
Un vantaggio anche per Michael Bloomberg: era stato criticato per la scelta di scendere in campo solo a partire dal Supermartedì di inizio marzo. Il voto dell’Iowa trasformato in farsa in un certo senso gli dà ragione. E, davanti a un incidente che può essere sfruttato per dipingere quello democratico come un partito di anime belle con idee nobili e nessuna capacità di tradurle in pratica, l’ex sindaco di New York può rivendicare il suo pragmatismo, le capacità amministrative messe in luce nella gestione della Grande Mela e anche la sua efficienza imprenditoriale. A cominciare da quella impiegata nella costruzione delle sofisticate reti della sua impresa di informazione finanziaria: lì un incidente come quello dell’Iowa è semplicemente impensabile.
Intanto Trump gode non solo per l’incidente in sé, ma anche perché la cosa gli consente di evocare un altro disastro informatico combinato dai democratici, stavolta nell’attività di governo: il blocco dell’accesso degli assistiti ai servizi della riforma sanitaria di Obama che nel 2013 si protrasse per settimane. Il presidente, abilissimo gestore della comunicazione per sfruttare ogni incidente a suo favore, beneficerà, poi, delle dispute e delle ulteriori divisioni che il caso sta già provocando in casa democratica: l’avvocato di Joe Biden manda una lettera formale al partito con accuse pesanti mentre le teorie del complotto che ormai serpeggiano stabilmente soprattutto nei movimenti radicali della destra e della sinistra americana stavolta trovano il megafono della deputata del Minnesota Ilhan Omar, grande sostenitrice di Bernie Sanders. Secondo lei Shadow, la società informatica che ha fornito il software dell’applicazione andata in panne è collegata a un gruppo gestito da un amico di Buttigieg. Non ha elementi concreti e Shadow in passato ha lavorato anche per Biden e la senatrice Gillibrad, ma lei butta lì l’insinuazione.
È l’inizio di una stagione che sarà densa di sospetti: il Dnc, l’organizzazione del partito democratico, quattro anni fa fece di tutto per favorire Hillary Clinton e mettere i bastoni tra le ruote di Sanders. Il senatore indipendente del Vermont, un estraneo in casa democratica, continua a essere inviso alla vecchia guardia del partito: inevitabili sfiducia e frizioni.
Ma quanto accaduto sembra frutto di insipienza, più che di congiure: il blocco della macchina degli scrutini che l’altra notte ha lasciato l’America senza i risultati del primo voto per le presidenziali era un disastro annunciato: la nuova app per trasmettere i dati all’ufficio elettorale centrale era stata distribuita ai 1.700 caucus senza spiegazioni, senza addestramento, senza un test. Molti funzionari locali che l’avevano testata in proprio avevano riscontrato problemi. Già giovedì si erano rivolti all’organizzazione nazionale del partito, chiedendo interventi. Ma il Dnc si è limitato a mettere a loro disposizione un consulente per il supporto. Che non è riuscito a risolvere il problema.
Gli ingredienti del pressapochismo ci sono tutti: volontari entusiasti che, però, nei vari seggi hanno fatto il download dell’applicazione all’ultimo momento. Il Pin (codice identificativo) che era stato dato in prova cambiato senza preavviso al momento del voto. Il panico improvviso degli scrutatori che, col sistema digitale bloccato, sono tornati in massa al vecchio sistema di comunicazione telefonica che era stato lasciato come back up ma con uno staff minimo. Ingorgo e, poi, il blocco.
I funzionari democratici hanno avuto, almeno, l’onestà di ammettere gli errori senza provare a nascondersi dietro ipotesi di attacchi esterni. Tra l’altro la Homeland Security, il ministero dell’Interno, aveva offerto di verificare la tenuta del sistema attraverso la sua unità di cybersecurity, ma il Dnc aveva rifiutato, temendo spionaggi trumpiani.
Una bruttissima storia per i democratici e per l’Iowa che, già mal sopportato da tempo per questo ruolo politico sproporzionato rispetto alle sue dimensioni e alla rappresentatività del suo tessuto sociale (92 per cento di elettori bianchi), ora potrebbe essere obbligato a tornare alla formula delle primarie tradizionali, perdendo la sua posizione privilegiata in calendario. Forse quello di ieri è stato il suo ultimo caucus.