22 Novembre 2024

Fonte: Huffington Post

Voto IRAN

di Nicola Pedde

Una grande confusione ha caratterizzato la lettura dei risultati elettorali iraniani da parte della stampa internazionale, nell’interpretazione di un voto per le elezioni parlamentari e dell’Assemblea degli Esperti in Iran che ha visto i principali titoli dividersi tra una vittoria netta dei riformisti e del presidente Rohani e le smentite dall’Iran che hanno dato invece per vittoriose le forze conservatrici.
La ragione di questa confusione è in larga misura da individuarsi nel modo in cui, ancora una volta, gli europei e gli occidentali in genere si ostinano a leggere le dinamiche politiche e sociali dell’Iran, delineando una netta linea di demarcazione tra i riformisti e i conservatori.
I riformisti, per gli occidentali, rappresentano il “desiderata politico” con cui misurarsi e che immaginano come una forza ideologica anti-regime, anti-rivoluzionaria e pro-occidentale, animata dal solo desiderio di mutare il connotato politico dell’Iran in un qualche ibrido vicino ai modelli occidentali.
Allo stesso tempo, i conservatori sono visti dalla gran parte degli occidentali come un insieme di anziani teocrati radicali, fanaticamente religiosi e anti-democratici, animati dal solo desiderio di mantenere in vita l’apparato tradizionale islamico forgiato con la rivoluzione.
Leggendo le dinamiche iraniane attraverso stereotipi e paradossi di questo tipo – molto diffusi, purtroppo – è chiaro come risulti poi difficile comprendere il risultato delle elezioni e del quadro istituzionale che viene a delinearsi all’indomani del voto.
Un altro errore marchiano degli occidentali è quello di guardare al solo voto della città di Theran, che con i suoi otto milioni di elettori è sì importante ma non esaustivo per comprendere la dimensione complessiva del voto in Iran.
Per avere un quadro più chiaro sulle elezioni politiche di venerdì scorso in Iran e per comprenderne il risultato è quindi opportuno fare due premesse. La prima concerne il grandissimo numero di candidati squalificati dal Consiglio dei Guardiani e quindi non ammessi alle elezioni; la seconda riguarda invece la natura delle liste che si sono presentate alle elezioni e la collocazione ideologica dei principali candidati.
Degli oltre 12.000 candidati che hanno presentato le proprie credenziali per le elezioni parlamentari del 2016, solo 6.229 sono stati approvati dal Consiglio dei Guardiani, e di questi si sono successivamente ritirati in 729, portando il numero complessivo dei nomi sulle liste a 5.500. La gran parte dei candidati squalificati dal Consiglio è certamente riconducibile all’area riformista o pragmatica, e la loro esclusione ha destato un grande clamore in Iran, con l’accusa di un’intenzionale manipolazione finalizzata a garantire la sopravvivenza delle forze politiche di orientamento conservatore.
Questo processo di selezione risponde ad una precisa strategia della leadership iraniana, che non intende promuovere la possibilità di radicali mutamenti nel quadro politico nazionale favorendo quindi un bilanciamento forzato delle componenti politiche e ideologiche presenti, al fine di poterne garantire la rappresentatività in Parlamento e nelle altre istituzioni elettive del paese.
È infine necessario comprendere anche il meccanismo di funzionamento della politica iraniana e la sua articolata composizione ideologica, senza cadere nella trappola interpretativa degli schieramenti netti e contrapposti.
In Iran prevale innanzitutto l’elemento personale del candidato, che si colloca nell’ambito di una certa posizione ideologica ma che non è necessariamente espressione di uno specifico partito. Anzi, nella gran parte dei casi si formano delle semplici coalizioni che decidono di allearsi al fine di presentarsi alle elezioni in modo compatto, per poi sciogliersi e ricomporsi in sede parlamentare anche con fisionomie differenti rispetto a quelle pre-elettorali. Queste sinergie tra gruppi diversi danno quindi forma alle “liste”, che si propongono agli elettori includendo gruppi e coalizioni spesso di diversa natura e orientamento, che decidono di allearsi perché ritengono di condividere alcune priorità fondamentali.
Lo spettro politico iraniano è infine alquanto ampio e variegato e comprende al suo interno forze di diversa estrazione ideologica e politica, che non sempre ha tuttavia agende e programmi così nettamente differenti da quelli degli avversari.
In termini generali è quindi possibile individuare all’interno di questo mare magnum della politica iraniana i riformisti, che intendono promuovere una formula liberale e modernizzatrice della politica e dei costumi, i pragmatici, che vorrebbero coniugare una visione tradizionale della società con una concezione liberista dell’economia, i principalisti, che rappresentano un vasto ambito ideologico al tempo stesso centrista e conservatore, animato dalla volontà di seguire i dettami etici e rivoluzionari proposti da Khomeini all’interno di una politica tuttavia di moderazione e crescita economica, gli ultraconservatori, che invocano una radicale concezione della politica estera e sociale, guardando con sospetto e ostilità a qualsiasi forma di apertura verso l’esterno, e infine gli indipendenti, che soprattutto nelle regioni periferiche del paese si presentano con programmi e posizioni spesso costruite sulla sommatoria delle istanze dei principali movimenti, di fatto proponendosi come sintesi tra più formule politiche e ideologiche.
La gran parte delle “liste” elettorali presentatesi all’appuntamento dei seggi del 26 febbraio è quindi il risultato di alleanze che includono al loro interno gruppi di diversa estrazione e orientamento, che non possono essere quindi sommariamente quanto arbitrariamente suddivisi in “conservatori” e “riformisti”, rappresentando al contrario posizioni spesso anche molto distanti tra loro.
Questo è certamente il caso, ad esempio, della lista conosciuta come “Coalizione dei Riformisti” o anche come “Lista della Speranza”, che a Tehran si è presentata trionfando con 30 candidati (di cui otto donne) a loro volta espressione di un vasto ambito politico che include riformisti di area “khatamista” e principalisti di orientamento centrista e conservatore.
Voler leggere l’identità ideologica di questo gruppo come esclusivamente riformista è quindi un grave errore, funzionale alla sola necessità degli occidentali di distinguere come sempre in modo netto i “nemici” e i “nemici dei nemici”. Una lettura troppo grossolana e dozzinale per comprendere la natura della politica iraniana e la sua complessità ideologica.
Chi ha vinto dunque le elezioni?
Per stabilire chi avrà davvero vinto le elezioni parlamentari iraniane servirà tempo, dovendo attendere che il Parlamento si insedi e che la variabile geometria delle “liste” si ridefinisca all’interno del Majles.
Ad oggi è possibile fare un mero calcolo algebrico su quanti hanno votato e quali candidati sono stati eletti, individuandoli per ambito di appartenenza. Questo non significa tuttavia che tali ambiti potranno risultare effettivamente compatti o maggioritari all’interno del nuovo Parlamento, dove invece nel corso delle prossime settimane e mesi si andranno a definire gruppi e contesti più o meno omogenei sulla base delle priorità che i singoli intenderanno perseguire.
Mentre lo spoglio delle schede è ancora in corso, si stima che si siano recati alle urne tra il 58% e il 62% dei circa 55 milioni di elettori iraniani, facendo registrare percentuali elevate a dimostrazione del grande interesse della popolazione per questa tornata elettorale.
La “Coalizione Riformista” sembra aver trionfato a Tehran, portando a casa 29 o addirittura 30 dei candidati proposti, sbaragliando in tal modo la lista “Coalizione dei Principalisti” guidata di Haddad Adel. Questa notizia ha fatto esultare gran parte della comunità internazionale, che si è affrettata a definire il risultato come un trionfo dei riformisti, senza in alcun modo considerare come all’interno di questa “lista” siano presenti anche formazioni di indirizzo dichiaratamente “pincipalista”, come ad esempio quella di Motahari.
Poco risalto è stato infine attribuito ai risultati provenienti dalle altre province del paese, dove circa il 55-60% dei voti è stato conquistato dalle liste di ispirazione principalista o ultraconservatrice, e dove le formazioni dichiaratamente riformiste hanno invece fatto registrare risultati più modesti, intorno al 30%. Altrettanto trascurata dai media internazionali è la crescita degli indipendenti, che sembra potersi collocare tra il 15 e il 20%, soprattutto nelle province più piccole del paese, andando in tal modo a costituire un nuovo elemento di bilanciamento in Parlamento.
Sicuramente in mano alla parte più conservatrice è stato anche il risultato elettorale per l’Assemblea degli Esperti, dove entrano trionfando a Tehran sia Rohani che Rafsanjani, nell’ambito tuttavia di una maggioranza saldamente in mano alle forze principaliste e ultraconservatrici.
Sotto il profilo della sommatoria algebrica, il risultato che esce quindi dalle urne (ma lo spoglio è ancora in corso e in alcune città si dovrà andare al ballottaggio per i candidati che non hanno superato lo sbarramento del 25%) vede i principalisti occupare la maggioranza dei seggi del prossimo Parlamento, seguiti dai riformisti e dai pragmatici, dagli ultraconservatori e dagli indipendenti.
I principalisti rappresentano una fascia di elettorato che si colloca tra le formazioni centriste e quelle dei conservatori moderati, e molte delle formazioni principaliste – pur non condividendo le posizioni dei riformisti – appoggiano il governo del presidente Rohani.
È quindi al tempo stesso possibile sostenere che abbiano trionfato i conservatori e le forze pragmatico-riformiste vicine al presidente Rohani, sebbene tale considerazione debba essere valutata in termini di specifico posizionamento dei singoli candidati eletti, e soprattutto del loro futuro posizionamento in ambito parlamentare.
Prime valutazioni di sintesi
L’entusiasmo occidentale nel proclamare una vittoria riformista è il prodotto di una visione alquanto stereotipata e semplicistica del reale risultato elettorale.
Il risultato che sembra delinearsi dallo spoglio delle schede indica al contrario una concentrazione del voto verso posizioni centriste, che intendono sostenere la linea politica del presidente Rohani senza tuttavia concedere un mandato in bianco al presidente, al quale chiedono risultati e garanzie per la stabilità del paese.
Tehran si conferma la roccaforte delle forze politiche più moderate e di quelle pragmatico-riformiste, mentre le province e le periferie continuano a esprimere preferenze più marcatamente conservatrici. Il segnale che arriva forte dalle urne sembra tuttavia anche essere un monito per le formazioni ultraconservatrici, sopravvissute alla tornata elettorale solo grazie alla massiccia squalifica di molti candidati riformisti, pragmatici e principalisti.
Si delinea quindi, in conformità alle aspettative della stessa Guida Ali Khamenei, un risultato elettorale bilanciato e capace di promuovere quegli equilibri di stabilità in questo momento assolutamente necessari per consolidare la politica di Rohani da una parte, e per favorire la graduale e pacifica transizione politica e generazionale in atto in Iran dall’altra.

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