19 Settembre 2024
cappello universita

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Tra i 25 e i 34 anni solo il 28% ha un titolo terziario. Nei paesi Ocse in media un laureato guadagna il doppio di chi si ferma al diploma; in Italia questo vantaggio è del 76%

In Italia ci sono ancora pochi laureati o in possesso di un titolo di studio terziario. Eppure innalzare il proprio livello di competenze conviene perché garantisce un significativo beneficio economico (anche se nel nostro Paese meno che altrove). Tra il 2000 e il 2021, ci racconta il rapporto Ocse «Education at a glance 2022», appena presentato, i livelli di istruzione sono cresciuti più lentamente della media dei paesi Ocse. La quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta infatti di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. L’Italia resta uno dei 12 paesi Ocse in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età.

Studiare conviene
È un ritardo da tempo noto, ma non perciò meno preoccupante. Soprattutto alla luce del fatto che in tutti i paesi Ocse avere un titolo di studio terziario conviene perché garantisce migliori livelli di occupazione e retribuzione. È vero, tuttavia, che il beneficio economico in Italia risulta minore che altrove: nei paesi Ocse in media un laureato nell’arco della vita lavorativa (25-64 anni) guadagna il doppio di chi non ha un titolo di istruzione secondaria superiore; in Italia questo vantaggio è meno cospicuo: 76% in più.

Scegliere bene gli studi
Il titolo universitario facilita l’ingresso nel mercato del lavoro. Ma con forti differenze tra tipi di laurea. Nel 2021, ad esempio, il tasso di occupazione dei laureati in medicina e nelle professioni sanitarie o nei servizi sociali era pari all’89%, ma solo del 69% trai laureati nelle discipline artistiche. Forte è poi la richiesta di laureati in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) eppure le iscrizioni sono basse. In Italia l’88% dei 25-64enni con una qualifica terziaria nel campo digitale (Tic) ha un lavoro, ma gli studenti di tali discipline rappresentano solo il 2% delle matricole universitarie (media Ocse 6%).

Le triennali «non sfondano»
Anche le triennali nono sfondano. Gli studenti infatti che si laureano entro tre anni dalla fine della durata teorica del corso di studio in Italia sono solo il 53% contro una media Ocse del 68%. Per quanto riguarda poi il supporto finanziario fornito agli studenti universitari, il 38% degli studenti in Italia ne è destinatario (generalmente borse di studio e servizi per il diritto allo studio universitario) posizionando il nostro Paese in una posizione intermedia tra quelli di area Ocse.

Infanzia al top, ma troppi divari territoriali
Tra i dati positivi contenuti nel rapporto Ocse c’è l’elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media Ocse, anche se bisogna ricordare che il monte ore di insegnamento dell’Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1071 ore), con una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Nei successivi gradi di istruzione il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie e 608 alle superiori) risulta comunque di poco sotto la media UE (rispettivamente 740, 659 e 642), anche se sono presenti in Italia forti disuguaglianze territoriali nell’offerta di tempo pieno nei gradi inferiori, con le regioni del Sud in netto svantaggio rispetto a quelle del nord.

Italia spende male per l’Education
Sopra la media Ocse, sia pure leggermente, si conferma nel 2021 anche la spesa cumulativa per il singolo studente della scuola dell’obbligo: per un ragazzo o una ragazza fra i 6 e i 15 anni spendiamo in Italia 105.750 dollari (calcolati a PPA, parità di potere d’acquisto, per tenere conto delle differenze del costo della vita fra i diversi paesi). Va osservato, tuttavia, che questo non si traduce in un’offerta di servizi e spazi scolastici uguale sui territori, dove esistono ampi divari, ad esempio, nell’offerta di tempo pieno, nella disponibilità di mense scolastiche o di palestre nella scuola primaria e secondaria di primo grado. L’Italia è invece decisamente agli ultimi posti per quanto riguarda la spesa per studente universitario: 12.000 dollari (PPA) all’anno contro una media OCSE di oltre 17.500.

Stipendi bassi per i docenti
Il report conferma poi un dato noto, ovvero che le retribuzioni dei docenti italiani sono basse e poco dinamiche, ciò che rende l’insegnamento nel nostro Paese una professione poco attraente. Entrando nel dettaglio, si sottolinea come le retribuzioni nei paesi Ocse vanno in media dai 42.000 dollari del livello pre-primario a più di 53.500 della secondaria di secondo grado, mentre in Italia si collocano a livelli inferiori, rispettivamente a 40.000 e 46.000 dollari. Anche le dinamiche nel tempo impressionano: dal 2015 al 2021 la retribuzione media Ocse di un insegnante di scuola secondaria di primo grado è aumentata del 6%, ma in Italia l’incremento è stato inferiore, solo dell’1%. La retribuzione dei prof perde anche nei confronti di altri laureati: nel 2021 in Italia un docente di secondaria di primo grado ha guadagnato il 27% in meno di un lavoratore full-time laureato (media UE, -11%).

Dietro i numeri
Per Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli. «il nuovo Report conferma una volta di più che dappertutto, anche in Italia, studiare conviene. In primo luogo, per avere un lavoro e retribuzioni migliori. Ma anche perché livelli d’istruzione più elevati sono – aggiunge – correlati con una salute migliore, una maggiore partecipazione alla vita civile e capacità di comprendere l’altro. Per tutte queste ragioni – sottolinea Gavosto – dobbiamo fare crescere il numero dei nostri laureati, oggi ancora fra i più bassi nei paesi Ocse. Ma agire sui livelli di istruzione non basta: al di là del titolo, conta ciò che si sa davvero. Perciò è fondamentale fare crescere i livelli di apprendimento e di competenze dei nostri studenti, che soprattutto nelle scuole secondarie sono insoddisfacenti e peggiorati con la pandemia, nonostante la spesa pubblica per la scuola – infanzia, primaria e secondarie – sia allineata, se non talvolta superiore, alle medie europee e Ocse».
Anche per Raffaela Milano, direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children, «l’analisi dell’Ocse individua nodi critici che devono essere messi al centro dell’agenda del nuovo Parlamento e Governo. A partire dall’accesso all’università e dal mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con la conseguente perdita di talenti e la drammatica crescita dei giovani Neet. Tuttavia – spiega – le disuguaglianze nascono molto prima: già durante la scuola primaria gli esiti degli apprendimenti differiscono, seguendo le condizioni socioeconomiche familiari e territoriali, e questi divari non fanno che aumentare durante tutto il percorso di studi, favorendo la dispersione scolastica. Per intervenire alla radice delle disuguaglianze educative è dunque necessario investire sin dalla primissima infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti. La definizione di un livello essenziale delle prestazioni per raggiungere il 33% della copertura dei servizi in ogni ambito territoriale e l’assegnazione di rilevanti risorse nell’ambito del Pnrr per la costruzione di nuovi asili rappresentano passi avanti significativi. Questo processo – conclude – va monitorato anche per dotare le nuove strutture di personale educativo adeguatamente formato e per raggiungere prioritariamente i territori più deprivati, con un forte impegno nel contrastare sul nascere la povertà educativa».

Cos’è Education at a glance
Education at a Glance è la principale fonte internazionale che ogni anno fornisce una comparazione delle statistiche nazionali (nella nuova edizione in buona parte relative al 2021), grazie alle quali misurare lo stato dell’istruzione nel mondo. Il rapporto analizza i sistemi educativi dei 38 paesi membri dell’Ocse, più Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa. Oltre a un capitolo sull’impatto della crisi Covid-19, l’edizione di quest’anno include un focus sull’istruzione universitaria.

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